La Meloni non spaventa gli italiani

La Meloni non spaventa gli italiani. Se ne facciano una ragione gli opinionisti di sinistra, ed i suoi avversari politici. Gli italiani non la vedono come un pericolo, e dipingerla come tale non fa bene alla nostra democrazia.

Nessuno può rivendicare di incarnare tutta la nazione, così titola un interessante editoriale di Piero Ignazi su Domani. Dove viene lanciata l’accusa a Giorgia Meloni di essere una nazional populista estranea ai principi di base della democrazia liberale, poiché ha affermato che “chi attacca me scredita l’Italia”.

Il problema di un intellettuale è che, se può essere un tratto distintivo della genialità saper difendere posizioni indifendibili, l’esagerazione degenera quasi nel comico. Se non si rischia di ridicolizzarsi.

Andiamo alle accuse

Giorgia Meloni non ha preteso con quella frase di essere l’unica rappresentante del popolo italiano. Ma bisogna riconoscere, anche se uno fosse il suo peggior nemico, che non è assolutamente rispettoso nei riguardi del popolo italiano andare a parlare su un importante emittente estera, di pericolo per la democrazia in caso vincesse l’avversario nel nostro paese. Cosa che il capo del PD ha fatto.

Prima di tutto perché in Italia abbiamo un sistema molto efficiente, nel prevenire qualsiasi rischio di degenerazione della dittatura. La nostra costituzione è talmente tanto piena di contrappesi, che i governi sono storicamente fragili.

Abbiamo un sistema di controlli talmente tanto stringente che l’idea che in Italia possa risorgere una dittatura, con le attuali garanzie costituzionali, è pura utopia se non fantapolitica.

Poi perché ci sono milioni di Italiani che votano quel partito. Che si riconoscono in quel partito. Come nel suo schieramento. Anzi, i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani si riconoscono in quello schieramento. E non li si può certo definire un pericolo per la democrazia.

Chi è antisemita?

Come si può considerare antisemita Giorgia Meloni, perché avrebbe definito George Soros un usuraio? Questo  proprio non regge.

Criticare un uomo, non è criticare una religione, un popolo o un’etnia. Altrimenti tutti coloro che criticano la politica di Joe Biden, debbono essere considerati anti-americani? O chi critica i dirigenti delle multinazionali statunitensi è antiamericano? O se i giornali  esteri criticavano Gianni Agnelli erano  antitaliani?

Tutti coloro i quali hanno accusato Henry Kissinger, di essere un criminale, tra le altre cose in maniera veramente miope, erano antisemiti?

Dall’altra parte è ancora più assurdo scandalizzarsi che si faccia l’esame del sangue ai candidati del Pd per le loro critiche a Israele. Lì si è parlato di persone che hanno negato lo Stato, non criticato un singolo o un governo. Se un candidato del PD ha criticato Netanyahu per le sue scelte politiche, può essere un amico di Israele con posizioni più vicine ai laburisti. Se una persona mette in discussione il diritto stesso e la legittimità dell’esistenza del paese, se la prende con un popolo.

Criticare un singolo è lecito. Generalizzare tacciando di particolari colpe un popolo, uno stato, un’etnia o gli appartenenti ad una religione è discriminazione. E certo la sinistra italiana sul rispetto di Israele non può fare la morale alla destra.

Il parallelismo con Fini

Non è affatto vero che Giorgia Meloni, non può essere un leader conservatore affidabile perché non raccoglie il testimone di Gianfranco Fini e non osanna quella che fu un’occasione bruciata della Destra italiana. Come non è vero che Giorgio Almirante, debba essere demonizzato.

Almirante fu il leader di un partito, che si presentava alle elezioni democratiche. Se si trattava di un partito fascista, che aveva ricostituito il fascismo la magistratura lo avrebbe sciolto. Invece fu per quasi cinquant’anni nelle istituzioni repubblicane.

Non si può scindere la figura di Gianfranco Fini da quella di Giorgio Almirante, quasi fossero antitetiche. Innanzitutto perché Almirante fu il primo nel 1972 a portare avanti un progetto di apertura con il cambio della denominazione, e la creazione della Destra Nazionale. Successivamente perché Gianfranco Fini fu il delfino di Giorgio Almirante. Andò al governo del partito proprio grazie a Giorgio Almirante.

Fini non fu evoluzione ma resa culturale.

Dopo il coraggioso passo avanti di Alleanza Nazionale, seppe solo piegarsi all’egemonia culturale della sinistra. Non propose nuove argomentazioni per le sfide di una destra moderna. Partendo da un punto di vista di destra ed alternativo.

Ma cercò di legittimarsi accettando battaglie libertine e libertarie, spesso in contrasto anche con posizioni prese poco prima, come ad esempio il repentino voltafaccia sulla legge 40.

Un bene per l’Italia

Quello che non si capisce è che sarebbe meglio per il paese, se si finisse di legittimare gli avversari politici parlando di pericolo per la democrazia, e ci si concentrasse sui programmi. Sui grandi temi dell’economia, che oggi dovrebbero essere centrali.

Dobbiamo auspicare un paese dove ci siano una destra ed una sinistra che si riconoscono legittimità reciproca. Dove le campagne elettorali siano di confronto politico.

Bisogna smetterla di mobilitare la gente come se si fosse in guerra .Come se si facesse una chiamata alle armi.

Possibile che la gente non debba avere risposte su quei temi che le stanno più a cuore? Di questo passo non ci si può lamentare che si allontanino le persone dalle istituzioni.

 

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