Kosovo. L’ “affaire targhe” banco di prova per i politici di Pristina

Il Kosovo mira ad un completo riconoscimento internazionale ed a dimostrare che può gestirsi anche senza la NATO. Inizi stemperando le tensioni con Belgrado

Kosovo. A dicembre 2018 la leadership kosovara aveva suscitato le perplessità della NATO proponendo la costituzione di un suo esercito. La domanda, spontanea, che sorse a molti quattro anni fa fu: “Che te ne fai di un esercito se hai la NATO che tutela la tua integrità?”

L’esercito, come noto, è uno strumento di proiezione degli interessi nazionali sullo scacchiere internazionale. La partecipazione di nazioni quali Montenegro, Romania, Albania a missioni internazionali palesa non soltanto la condivisioni di valori quanto l’auspicio, dei singoli governi, di ottenere maggiore considerazione nelle organizzazioni internazionali cui i paesi governati fanno parte.

Il Kosovo “soffre” un riconoscimento a metà. La presenza NATO entro i suoi confini è elemento di stabilità certo, ma anche ostacolo sulla strada della costruzione della credibilità internazionale.

Se interesse primario dell’Alleanza, infatti, è continuare ad attenersi alla Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, per il Kosovo la speranza è dimostrare che potrebbe muoversi con le proprie gambe, confrontandosi alla pari con gli attori del teatro balcanico. E non solo balcanico.

Per spiegarla in termini “spicci”, Pristina si sente come un bimbo che va sulla bicicletta con le rotelle (le ricordate? Si montavano ai principianti) in mezzo ad una colonna di ciclisti del Giro d’Italia.

Il forte nazionalismo albanese, poi, insieme ad una mai sopita diffidenza verso Belgrado esorta i kossovari a prove muscolari che creano imbarazzo e tensioni con la Serbia, con la NATO e con il resto del mondo.

L’esempio delle targhe è soltanto l’ultimo. E’ dal 2005, con i luoghi di culto serbo-ortodossi attaccati, che va avanti il gioco “provocazione – risposta” fra Pristina e Belgrado.

L’area nel centro-nord della giovane repubblica balcanica, inoltre, è da sempre luogo di scontro con la minoranza serba. Attorno a Mitrovica, infatti, sorge il grande complesso di estrazione della bauxite conteso con la Serbia.

L’affaire targhe, dunque, è un nuovo pretesto per rimarcare la forza della comunità kosovara-albanese sui serbi, evidenziando altresì che i kossovari-serbi sono “ospiti” più che connazionali.

Il nodo di Gordio di questa eterna contesa è che oggi Pristina pare non accorgersi che tale atteggiamento è tutt’altro che distante da quello subìto due decenni fa dagli albanesi. Ed in piena continuità con il secolare odio che da secoli insanguina quell’angolo, sciagurato, di mondo. Modus operandi che spinge la Comunità internazionale a mantenere ben salda la presenza NATO entro i confini del Kosovo e che priva Pristina del completo riconoscimento internazionale.

Chi si fiderebbe, d’altronde, di una nazione che – detta gergalmente – cerca sempre lo scontro?

L’Alleanza Atlantica potrà ritirarsi solo quando i kossovari si mostreranno capaci di gestire, con la diplomazia, i rapporti con il vicino. Rapporti normali, tesi, provocazioni: uno stato contemporaneo, orientato verso i valori democratici, deve sapere che la diplomazia è l’ “arma” più efficace per dirimere le questioni internazionali ed interne.

Pristina cominci dalle targhe, garantendo alle comunità locali una maggiore autonomia così come, d’altronde, fece il Maresciallo Tito negli Anni Sessanta: Kosovo e Methoja province autonome. Certo, Josip Broz sarebbe l’ultimo da chiamare in causa quanto a comprensione ed a spirito di solidarietà (decine di migliaia di albanesi, serbi, italiani, croati e sloveni, dall’oltretomba, chiedono ancora giustizia) eppure, da padre assoluto della Yugoslavia, convenne anche lui che l’identità dei singoli popoli balcanici non potesse essere piegata con la forza.

Una lezione che noi “occidentali” abbiamo imparato ma, a quanto pare, ad oggi indigesta ad alcuni leader balcanici. La Serbia mira all’UE e, militarmente, non ha potere poiché circondata da membri NATO. Quindi, considerato un attacco via terra e via aria ipotesi remota, il Kosovo si sforzi a trovare una soluzione sul tavolo delle trattative. Se sarà in grado di farlo, inaugurerà un nuovo corso che sarà foriero di benefici ben maggiori della costituzione di un esercito. Sarà considerato, dal mondo, una nazione ed una nazione capace di dialogare con tutti, con i “piccoli” e con i “grandi” della Terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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(Immagine di sfondo, fonte: foto di jorono da Pixabay)
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