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Israele ferma la Flottiglia, un epilogo annunciato. La realtà non si può ignorare

di Alessandro Scipioni
2 Ottobre 2025
In Attualità
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Israele ferma la Flottiglia, un epilogo annunciato. La realtà non si può ignorare
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Israele ferma la Flottiglia, un epilogo annunciato. La realtà non si può ignorare

Era difficile immaginare un finale diverso per l’operazione della cosiddetta “Flottiglia della Pace”. Israele è uno Stato sovrano che da sempre esercita un controllo ferreo sui propri confini, in particolare quelli marittimi, soprattutto in tempi di guerra. Pensare di forzare quel blocco navale, per quanto con intenti dichiaratamente umanitari, senza una reazione immediata da parte di Tel Aviv, era un’illusione. La reazione dell’esercito israeliano non è stata quindi una sorpresa, e chi ha promosso e partecipato all’iniziativa non poteva non prevederlo. Il dolore della popolazione civile nella Striscia di Gaza è immenso e merita attenzione, solidarietà, ma soprattutto azioni concrete e non gesti simbolici che rischiano di trasformarsi in operazioni propagandistiche, anche se spesso condotte da attivisti mossi da buona fede.

Se l’obiettivo è davvero quello di aiutare i civili, allora la strada non può che essere quella della diplomazia, dei corridoi umanitari garantiti, della mediazione tra le parti. Come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il modo più efficace per portare aiuti e alleviare le sofferenze della popolazione è quello che passa attraverso canali riconosciuti e condivisi dalla comunità internazionale, evitando di esasperare ulteriormente un contesto già esplosivo. E proprio per questo è fondamentale che i protagonisti di queste iniziative, soprattutto quando coinvolgono cittadini italiani, valutino con razionalità le conseguenze delle loro azioni. Perché ogni gesto non coordinato può creare più problemi di quanti ne risolva, e portare a uno stallo in cui diventa difficile anche trattare per il rilascio dei fermati.

In questo senso sono significative anche le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha definito la missione della Flottiglia “una scelta pericolosa e irresponsabile”, ricordando che esistono già strumenti efficaci per far arrivare gli aiuti a Gaza e che non è necessario “infilarsi in un teatro di guerra” per dare un contributo umanitario. Meloni ha ribadito che lo Stato italiano garantirà tutela ai cittadini coinvolti, ma ha anche evidenziato che insistere con simili operazioni, mentre si cercano mediazioni e soluzioni più stabili, è controproducente. La premier ha inoltre ricordato come, proprio mentre si tenta di rilanciare i negoziati di pace, certe azioni rischiano solo di aumentare la tensione e complicare ulteriormente il quadro.

E qui sta il nodo della questione: la mediazione è l’unico strumento che può davvero portare a un cessate il fuoco e a una prospettiva di pace duratura. Ma mediazione non significa improvvisazione, non può essere affidata all’iniziativa privata, spesso scoordinata, di attivisti che, pur animati da ideali nobili, finiscono per trovarsi coinvolti in una dinamica di scontro più grande di loro. Il campo largo della sinistra sembra voler continuare a sostenere questi atti, anche contro l’evidenza dei fatti, utilizzandoli come leva politica, ma il rischio è di alimentare un’illusione collettiva che finisce per tradire proprio le persone che si vogliono aiutare. E mentre si ignorano gli appelli alla prudenza, si continua a tacere su proposte alternative che potrebbero avere un’efficacia reale, come quella presentata da Donald Trump, che pur essendo divisiva e contestata da parte dell’intellighenzia occidentale, rappresenta forse oggi uno dei pochi tentativi concreti di interrompere il ciclo della violenza.

La sofferenza di chi vive sotto le bombe non si risolve con una diretta social o con l’assalto mediatico a un porto. Si risolve con il silenzioso lavoro della diplomazia, con le trattative complesse, con l’impegno istituzionale, e anche con il coraggio – a volte impopolare – di dire che non tutto si può improvvisare in nome di un’emozione. Guardare in faccia alla realtà non è cinismo, è responsabilità. Quella che serve oggi più che mai, per non continuare a farsi propaganda sulla pelle di chi soffre davvero.

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