Inflazione, disoccupazione e politica

inflazione

Gli economisti si devono sempre scontrare con il così detto “ciclo economico politico”. Infatti in un sistema democratico i responsabili politici sceglieranno sempre quelle politiche economiche che contribuiscono alla loro rielezione.

Si propongono in campagna elettorale per risolvere con varie soluzioni le questioni economiche degli elettori. Ma una volta eletti, per gestire il consenso nel medio periodo, sembra che dimentichino i programmi politici elettorali. Concentrandosi di più su quelle scelte macroeconomiche che aumentano la popolarità e la percentuale nei sondaggi. Il sentiero delle scelte macroeconomiche va di pari passo con le scadenze politiche. All’inizio si cerca di seguire il programma elettorale, poi nel mid term si passa a politiche conservative. Nel periodo pre-elettorale non si decide niente se non annunciare cosa verrà fatto se il politico verrà rieletto. È il ciclo economico politico. Lo sappiamo.

E ci caschiamo sempre.

La maggioranza degli elettori si preoccupa di due temi particolari:

  1. L’inflazione. Ossia la perdita del potere di acquisto della moneta. Nel senso “occorre più soldi per fare la spesa”.
  2. La mancanza di lavoro, che per i desiderosi di lavoro dipendente si chiama disoccupazione, mentre per chi desidera intraprendere un’attività si chiama mancanza di competitività. La disoccupazione però, se cala, è indice anche di una ritrovata crescita del sistema economico e quindi in essa è anche rappresentata la quota di crescita o decrescita dei settori imprenditoriali.

Se la disoccupazione cala e l’inflazione cresce

In un sistema democratico gli elettori saranno più orientati verso partiti che conservano questo saggio di crescita e di sviluppo. Perché i politici hanno creato le condizioni per la crescita macroeconomica del paese che governano.

In un paese come il nostro questo aspetto è molto controverso perché non c’è crescita, da vent’anni e più, e non c’è inflazione, peraltro obiettivo proprio della Banca Centrale Europea e quindi non direttamente gestibile dal nostro Paese. C’è molta disoccupazione, si attesta sempre in un intorno il 10% e qualche volta scende sotto tale soglia per brevi periodi.

Un governo che si insedia ha tutto l’interesse a fare misure lacrime e sangue nei suoi primi mesi di insediamento, soprattutto se è un Governo italiano, lasciando invece manovre espansive nel periodo pre-elettorale. Difficile però fare delle statistiche su questi temi nei governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni in Italia. Problemi non economici poi possono sovrapporsi alle manovre macroeconomiche, quale ad esempio l’emergenza “terremoto”. O come accade per Italia, i vincoli di bilancio sul debito pubblico e sulla spesa pubblica non consentono pienamente l’utilizzo della variabile fiscale ai governi che si insediano.

L’inflazione aumenta la sensazione di ricchezza

Verrebbe la voglia di augurarsi un’alta inflazione. Gli economisti hanno più volte sottolineato che in sistemi progressivi di imposizione fiscale, l’inflazione sposta verso l’alto la curva del reddito nominale verso scaglioni più alti. Quindi oltre al fiscal drag, alta inflazione vuol dire maggiori entrate per lo stato. Più Inflazione più tasse per lo stato, meno debito pubblico.

In ogni mio articolo di economia ho sempre sostenuto che per uscire dai problemi macroeconomici, il politico di turno, soprattutto per risolvere i problemi del nostro Paese, deve impostare solo politiche legate alla crescita del PIL, anche di tipo inflazionistico. Solo in questo modo nel tempo si potrà ridurre il disavanzo di bilancio. Unitamente al taglio della spesa pubblica, o quantomeno al controllo della spesa pubblica migliorando ed efficientando la pubblica amministrazione con una estrema informatizzazione dei dati e miglior utilizzo delle risorse.

Un tema che una volta veniva dibattuto in economia, soprattutto nazionale, era la dimensione che doveva avere il settore pubblico e quindi il suo assorbimento di risorse finanziarie dai cittadini tramite il pagamento delle tasse. È un problema complesso, oggi. È un argomento che si interseca molto bene con la descrizione del ciclo economico politico sopra ricordato.

Sta proprio in questo tema – quanto largo deve essere, quanto deve fare, che servizi deve fornire il settore pubblico, con che qualità e con quanto assorbimento di risorse umane e finanziarie – che dovrebbe concentrarsi adesso il sistema politico, e risolvere il problema della bassa crescita del PIL e della disoccupazione, migliorando la competitività e la ricchezza nazionale. Vediamo che succede……con il Governo Draghi che si insedia questa settimana se il ciclo economico politico avrà il sopravvento, oppure avremo un governo che oltre a misurare la dimensione economica del settore pubblica ne saprà trovare anche la chiave per un suo cambio di perimetro. In bocca al lupo… a tutti noi.

 

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