Il Salario Minimo

Il Salario Minimo

Il Salario Minimo accomuna PD, M5S e i cespugli sinistri in un abbraccio politico che comprende la CGIL del compagno Landini.

Ci sono almeno due rilievi, quasi assenti dall’orizzonte politico/giornalistico, che mi sembra valga la pena esaminare:
la disponibilità della CGIL (seguita dalla UIL) a limitare la propria capacità negoziale con le controparti datoriali.
La coerenza economica (ed etica) di un “salario minimo” uguale per tutta l’Italia.
Circa la CGIL: si ripropone la funzione politica del sindacato di sinistra, nato dalle costole del PCI di Togliatti, sempre “cinghia di trasmissione” al servizio prima del partito e solo dopo dei propri iscritti.

Il dettato del Comintern

Con vocazione universalistica ben oltre la definizione – anche costituzionale – di libera associazione a difesa degli interessi economici dei propri iscritti.
In politica estera: il Vietnam, il Cile, la Grecia, le ipocrisie sulla rivolta di Ungheria e sulla Primavera di Praga, la condanna della Solidarnosc di Walesa, e via dicendo: ossequioso allineamento al dettato del Cominter.

In sociologia, col sostegno dei “diritti delle minoranze”. Da ultimo del Black lives matter che annovera gente credibile ma anche cialtroni e perfino delinquenti.
In arte e in cultura con gli scioperi contro questo o quello spettacolo o libro o evento “di destra”.

In ogni spazio del sapere e della vita di relazione la CGIL è sempre stato uno dei cannoni, insieme agli spezzoni “deviati” della Magistratura e agli intellettuali organici, con cui la sinistra ha bombardato i governi, i partiti, le idee, la cultura di cdx.

Oltre a queste attività ha svolto ANCHE il ruolo di mediazione affidatole dalla carta Costituzionale: ho rinnovato 13 CCNL del mio settore economico negoziando con controparti che andavano via via politicizzando il Contratto divenuto una sorta di libro esoterico, un Vangelo o addirittura un Corano.

Di contrattuale vero è rimasta la parte economica: i minimi salariali, i livelli, le mansioni. Poco altro.

Oggi la CGIL pare disposta a rinunciare anche a questo poco: se le parti contrattuali si trovassero in presenza di una legge dello Stato la mediazione non sarebbe facile.

Un disastro

Ritengo che la CGIL consideri il salario minimo come importo di partenza per negoziare al rialzo, senza contare che le controparti potrebbero adeguare al ribasso gli attuali minimi contrattuali che riguardano il 90% dei lavoratori: un disastro sindacale e sociale!

Bisogna anche chiarire la differenza fra il “costo del lavoro”, con cui l’impresa affronta il mercato del mondo, e il “netto in busta paga” che è quello che percepisce il lavoratore dopo la “rapina” che lo Stato vi opera. Ai bassi salari italiani corrispondono alti costi del lavoro.

La CGIL

C’era la CGIL a negoziare questo prelievo statale crescente con Governi, partiti e datori di lavoro: che oggi si stupisca e si indigni per il “fiscal drag” mi sembra quanto meno incoerente. La CGIL ha consapevolmente concorso a impoverire le buste paga a vantaggio di una burocrazia insaziabile e ostativa allo sviluppo dell’impresa e a sacche di parassitismo sparse in tutta la filiera socio/economica.

Insieme a PD e CGIL (e alla UIL, che meriterebbe discorso a parte) ci sono gli smarriti personaggi del M5S: “buoni a nulla ma capaci di tutto”, come diceva Pannella, che pontificano con le loro tiritere imparate a memoria: vagiti di neonati della politica e dell’economia che emettono suoni non concetti. Tutti portatori di una cultura di impresa e di mercato davvero modesta.

Ci sarebbe da aggiungere il peso che ha sui salari l’indice di produttività del sistema che vede l’Italia all’ultimo posto dei Paesi OCSE: tutta colpa dei padroni – che peraltro pagano le tasse più alte d’Europa – non della diffusa ideologia antindustriale, della politicizzazione sindacale, della debolezza della politica fino alla deriva del Conte 1 (Lega compresa!) e Conte 2, del sistema giudiziario italiano, della criminalità organizzata che occupa un terzo del nostro Paese.

Infine il secondo problema strutturale: l’uniformità del salario minimo: 9 € ora sia a Caltanisetta che a Milano.
Motivo? Non dividere l’Italia (marchio di fabbrica M5S), come se l’Italia non fosse già ampliamente divisa.

Il gap

Il gap del costo della vita fra le due realtà sfiora il 30% (lo conferma anche un recente studio proprio della CGIL): i 9 € di Caltanisetta valgono 6 € a Milano. E viceversa.

Oggi un professore che deve muoversi da Sud per andare a insegnare a Nord, non campa con la sua busta paga, mentre a Sud è un benestante.

Da cui il ricorso ad ogni furbizia e scorrettezza da parte degli insegnanti meridionali assegnati a Nord per tornare a Sud e sottrarsi alla povertà imposta dalla ideologia dell’uguaglianza. Da cui i disagi per alunni e famiglie del Centro Nord.

Potrebbe essere l’occasione di tornare alle eque gabbie salariali, sensibili alle differenze del costo della vita territorio per territorio.

Ma la via dell’equità non passa certo per il Salario minimo indifferenziato, anzi tutto lascia credere che tanto alla signorina Schlein quanto a Landini e a Conte poco importi degli esiti sociali, la battaglia è politica sotto le mentite spoglie di battaglia sociale.

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