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Home RIFLESSIONE

Il Natale delle sedie vuote

di Stefania Scarpati
29 Dicembre 2025
In RIFLESSIONE
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Il Natale delle sedie vuote
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Il Natale delle sedie vuote

Le vacanze di Natale arrivano ogni anno come un tempo sospeso. Le città rallentano, le agende si svuotano, le luci si accendono anche dove normalmente non c’è tempo per guardarle.
È il tempo dell’attesa, più che del giorno in sé. Attesa delle feste, dei rientri, degli incontri. E, inevitabilmente, dei ricordi.
Il Natale è soprattutto una tavola. Una tavola apparecchiata con più cura del solito, con i piatti “buoni”, quelli delle occasioni importanti. Ma è anche il momento in cui si contano le sedie. E ci si accorge che qualcuna è vuota. Sedie che raccontano assenze che pesano, persone che non ci sono più, famiglie divise, cambiate, equilibri che il tempo ha spazzato via.

Il Natale, più di ogni altra festa, ha questa capacità bellissima e crudele: far emergere ciò che manca

Tra le assenze più dolorose e incolmabili ci sono quelle dei nonni. Figure che sembrano non andarsene mai veramente, perché a Natale tornano, tornano sempre.

Tornano nei racconti ripetuti di ogni anno, sempre gli stessi, quasi fosse un rito: “Ti ricordi cosa diceva il nonno?”, “La nonna faceva sempre così”, “A quest’ora il nonno sarebbe già seduto a tavola”. I nonni rivivono nelle frasi che si tramandano, nei gesti imitati, nei piatti cucinati “come li faceva lei”.

È una memoria collettiva che scalda, ma che fa anche male. Perché raccontare è un modo per tenerli vivi, ma anche per prendere atto che non ci sono più

E nei racconti tutta la voglia di farli conoscere anche a chi troppo giovane non li ha potuti conosce.

Il Natale diventa allora il tempo della nostalgia, quella che non ha bisogno di parole nuove, perché si ripete uguale, anno dopo anno. Una nostalgia che unisce le generazioni, ma che riapre ferite mai del tutto chiuse.

E non tutti riescono a viverla come un conforto

Si parla spesso di buoni sentimenti, di solidarietà, di pace. Parole che a dicembre diventano quasi obbligatorie. Eppure non per tutti hanno lo stesso peso. Per qualcuno il Natale è rifugio, per altri è solo un amplificatore del dolore.

C’è chi lo aspetta e chi lo subisce e non vede l’ora che passi. Chi lo vive come una carezza e chi, invece, come un giorno inutile, perché nessuna luce può colmare un’assenza, nessun augurio può restituire una voce amata.

Forse il senso del Natale non sta nell’uniformare le emozioni, ma nel riconoscerle

Accettare che non tutti possano essere felici allo stesso modo, che non tutti abbiano voglia di festeggiare. Per alcuni queste vacanze sono un tempo difficile, fatto di silenzi più lunghi e di sedie vuote che parlano più delle persone presenti.

E in fondo, il Natale chiede di essere per forza felici, ma solo di essere veri. Veri nel ricordo, veri nel dolore, veri anche nella gioia quando c’è. È un tempo che ci costringe a fermarci e a guardare quello che siamo diventati, le relazioni che abbiamo custodito e quelle che abbiamo perso per strada.

Forse il dono più autentico di queste vacanze non è un pacco sotto l’albero, ma il tempo

Il tempo di sedersi, di raccontare ancora una volta chi non c’è più. Il tempo di lasciare una sedia vuota senza doverla riempire con parole di circostanza.

Il tempo di rispettare chi questo periodo natalizio non riesce a sentirlo come una festa

Perché il Natale non è uguale per tutti. Ed è proprio questa verità, fragile e imperfetta, a renderlo ancora umano.
(Nella foto, i miei adorati nonni che ci mancano tanto).

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Tags: DenatalitàFAMIGLIAIN EVIDENZAINVERNO DEMOGRAFICONATALE
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