Il mondo è un cesso… 1 miliardo di persone defeca all’aperto

Oltre il 60 per cento della popolazione mondiale fa i conti ogni giorno con la mancanza di servizi igienici in casa: sono 4,5 miliardi di persone – dati dell’Onu – che non hanno un’apposita stanza da bagno e sono 892 milioni, in particolare, quelle hanno a disposizione solo spazi aperti.

Non è solo una nota statistica o di costume, ma una carenza igienica che impatta in modo devastante sulla salute pubblica e quindi sulle condizioni di vita e di lavoro, sulla nutrizione, sull’economia e perché no, sull’educazione. I dati diffusi dalle Nazioni Unite spiegano pure che 900 milioni di studenti non hanno lavandini per lavarsi le mani e che una scuola su cinque, nel mondo, non dispone di toilette. Immaginate quante ragazze con le mestruazioni restano semplicemente a casa.

ARGINE ALLE MALATTIE

Morale, l’Onu si è messa in testa di organizzare per il 19 novembre la giornata internazionale della toilette, intesa come bagno, water, turca, cesso. Perché parliamo sempre di cibo, acqua, igiene generale: ma trasvoliamo sempre sul tema water o cesso (scrivere toilette, come fa l’Onu, pare ambiguo, perché molti per toilette intendono un insieme di operazioni di igiene e vestizione e acconciatura: «eau de toilette» non è certo inteso come acqua del water) e insomma trasvoliamo, dicevamo, perché molti Stati la considerano una questione legata alla sfera privata e non attuano certo piani nazionali sull’ argomento. Errore: i cessi salvano la vita perché impediscono il diffondersi di malattie.

Molto più di quanto crediate. Quindi c’è da richiamare l’attenzione soprattutto di certi Stati – soprattutto in Africa, India e Cina – dove la mancanza dei bagni in casa è considerata normale e in qualche caso addirittura osteggiata dalla popolazione. Sono scemi? No, sono ignoranti: nel mondo ci sono 1,8 miliardi di persone che bevono acqua non depurata da (possibili) contaminazioni fecali e l’80 per cento dell’acqua utilizzata dall’uomo torna nell’ecosistema senza essere stata depurata.

Pensate che non vi riguardi? Allora sappiate che non tirare bene l’acqua del cesso dopo aver rigorosamente chiuso la tazza (un sacco di gente non lo fa, ma proprio tanta) può consentire a nuvole di batteri di diffondersi nell’aria e di contaminare l’ambiente, con ciò moltiplicando il rischio di diffondere virus gastrointestinali tipici di questo periodo. Magari state lì ad ammazzarvi di medicine preventive, ma non intuite quanto ha confermato un team di ricercatori britannici (Leeds Teaching Hospital) che hanno fatto uno studio proprio per capire quanto il copriwater possa impedire la diffusione di malattie infettive, negli ospedali e non solo.

UOMO DEFECA STAZIONE TERMINI – ROMA

Tralasciamo i dettagli (come hanno ricreato «l’effetto diarrea») e diciamo solo che un batterio patogeno può essere trasportato per oltre 25 cm di distanza sopra la tazza (se non la chiudi) e lo stesso batterio resta nell’aria sino a 90 minuti dopo l’operazione, contaminando la tavoletta e persino il pavimento. Insomma, il copriwater non è lì per fare da seggiola d’emergenza.

Il fatto che si morisse molto di più nelle città che nelle campagne, un tempo, non era slegato alla mancanza di cessi e fogne. Nel Settecento non c’erano neanche cestini della spazzatura o la pulizia delle strade, e nelle vie cittadine si accumulava una quantità spaventosa di letame ed escrementi non solo animali.

DEFECARE ALL’APERTO

Girare in carrozza era soprattutto un modo per tenersi lontani dalla schifezza delle strade, e non a caso si usavano stivali alti: servivano a guadare gli strati di sporcizia e i rigagnoli di acqua lurida. In città tedesche come Ulm, nel Medioevo, si usavano persino i trampoli. Ecco Parigi secondo un visitatore italiano del Cinquecento: «Scorre per le strade della città un rivoletto d’acqua fetida in cui confluisce l’acqua sporca di tutte le case e che appesta l’aria: così si è costretti a portare dei fiori con un po’ di profumo per scacciare l’odore».

Nelle città c’erano pulizie straordinarie solo in occasione di eventi pubblici: a Roma, per esempio, venivano tenute pulite solamente le vie percorse dai pellegrini che andavano dal Papa. La pulizia dei rifiuti lasciati dal mercato, ogni tanto, veniva appaltata ad allevatori di maiali: perché le bestie tragugiavano tutto. In campagna bastava una fossa, ma in città, per i rifiuti fisiologici, era normale appartarsi dove capitava: in un angolo, all’aperto, in androni, vie, cortili. È noto che ad avere i primi sistemi fognari, paradossalmente, fu Roma antica – sinché durarono – e che era più pulita di quanto lo erano Parigi o Londra nel Seicento. Per come le intendiamo noi, le abitudini igieniche moderne arrivarono in Europa solo nel diciannovesimo secolo. 

Viziati da troppo benessere – anche il bidet, ormai, non è più diffuso solo in Italia – in Occidente si dedicano al bagno solo discussioni demenziali. Nel 1990, in una rubrica di lettere diffusa su quasi 200 quotidiani (tra i quali Washington Post, Los Angeles Times, New York Times, New York Newsday e Philadephia Enquirer), una lettrice scrisse che una cugina di Cincinnati appendeva la carta igienica «in modo sbagliato», ossia a cascata (sul davanti) invece che rasente il muro. Beh, non avete idea del putiferio che ne venne fuori: altro che social.

IN MALI OLTRE LA META DELLA POPOLAZIONE DEFECA ALL APERTO

Arrivarono 15 mila lettere dove ognuno tirava il rotolo dalla propria parte. Fu anche fatta un’indagine statistica in tre continenti condotta dal famoso sociobiologo appunto sul modo di appendere la carta igienica nel mondo: venne fuori che l’ 85 per cento di tutte le donne (senza distinzioni di razza, censo, pregiudizi religiosi e livello d’istruzione) fissava il rotolo in maniera tale che la carta si svolga posteriormente, lungo la parete, mentre il 96 per cento degli uomini preferisce far scorrere la carta verso l’utente. La concavità femminile contrapposta alla convessità maschile, in soldoni. Ecco: nel ricco Occidente siamo a questo, all’interpretazione psicologica di come metti la carta igienica.

L’Onu, intanto, il 19 novembre ci ricorda che quasi un miliardo di persone defeca per strada.

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