Il lato oscuro di Mani Pulite

mani pulite

Tra il 1992 e il 1994 si svilupparono le indagini di Mani Pulite. Tra l’arresto di Mario Chiesa e le dimissioni dalla magistratura di Antonio di Pietro. In questo lasso di tempo vi furono dei suicidi che destarono dubbi e polemiche e avrebbero condizionato “Mani Pulite” e forse la storia d’Italia.

Il 20 luglio del 1993 Gabriele Cagliari, presidente dell’ENI si suicidò nelle docce del carcere di San Vittore.

Gabriele Cagliari classe 1926 era nato a Guastalla, Reggio Emilia. Laureato al Politecnico di Milano ingegnere industriale subito dopo entrò a lavorare per le più importanti aziende chimiche nazionali. Diventò dirigente e nel 1983 entrò della giunta esecutiva di ENI, sostenuto da Bettino Craxi e dal PSI. Grazie al PSI nel novembre del 1989 divenne presidente di ENI e curò il progetto che portò alla formazione di Enimont.

Enimont, colosso della chimica italiana era stata creata da Raul Gardini. Nata mediante la fusione tra ENI, la principale azienda pubblica energetica italiana, e Montedison, azienda chimica privata di cui Gardini era il principale azionista. La fusione fu un insuccesso e Gardini convinse lo Stato attraverso ENI a riacquisire le quote private di Enimont. Per questo si avvalse di intermediari e di circa centocinquanta miliardi di Lire, spesi in tangenti.

Il coinvolgimento politico

Dall’operazione, scaturì uno dei principali filoni di Mani Pulite che contribuì alla misera fine dei maggiori partiti italiani. Il processo iniziò nel 1993 e si concluse nel 2000 con pena definitiva tra gli altri per Arnaldo Forlani, Paolo Cirino Pomicino, Giorgio La Malfa e Umberto Bossi.  Bettino Craxi mori in esilio ad Hammamet, in Tunisia, durante il secondo passaggio in Cassazione.

Il primo arresto, dai PM di Milano, raggiunse Cagliari per una presunta tangente pagata per un appalto statale. A seguire gli furono notificati altri arresti in carcere per fondi in nero dell’ENI e per l’accordo tra ENI e SAI di Salvatore Ligresti.  Tutto questo per prolungare la presenza in carcere di Gabriele Cagliari. Secondo l’uso dei PM Milanesi. Il 17 luglio l’ennesimo parere negativo del PM Fabio de Pasquale alla scarcerazione. La spremitura non era finita.

I mesi di prigionia di Cagliari

C’era ancora il rischio che Cagliari, senza alcun potere, senza uscire di casa, senza telefono e senza incontrare nessuno potesse inquinare prove documentali o già acquisite. Cagliari era in carcere da quattro e mesi e mezzo. Era un anziano signore non certo avvezzo alla durezza della detenzione.

Il GIP Maurizio Grigo non decise subito sulla liberazione, aveva ben cinque giorni di tempo. Il 20 luglio Gabriele Cagliari si uccise. Due indagini interne stabilirono che ne il PM ne il GIP erano stati negligenti. L’uso sistematico del carcere per piegare la resistenza dell’imputato ed ottenere ammissioni o testimonianze non aveva indotto il suicidio.

La vicenda carceraria di Cagliari portò ad un grosso dibattito sull’uso della carcerazione preventiva. Gherardo Colombo era un magistrato di punta del pool Mani Pulite. Sulla vicenda ebbe a riferire che ciò che successe a Cagliari “non si discosta da ciò che accade usualmente… Da una parte c’è chi subisce i processi, dall’altra chi i processi li fa”. Secondo Colombo l’incomunicabilità tra questi due mondi sarebbe stata all’origine del senso di prostrazione sofferto dall’indagato.

 

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