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Il disgelo dei ghiacciai può liberare virus e batteri non attivi da millenni

di Redazione
16 Marzo 2020
In Attualità
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DISGELO
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Disgelo – Gli effetti del cambiamento climatico sono molteplici: temperature in aumento, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, siccità, minaccia alla biodiversità, migrazione umana. Tra tutti questi disastri in corso, ce n’è uno molto importante ma meno conosciuto dall’opinione pubblica. Secondo gli scenari più ottimistici, entro il 2100, il 30% del permafrost potrebbe scomparire. Iniziato da diversi anni, il disgelo di questo strato geologico, composto da ghiaccio e materia organica, minaccia di rilasciare quantità astronomiche di CO2, causando potenzialmente un riscaldamento globale ancora più significativo e rapido del previsto. Ma c’è di più.

Il permafrost, come un vaso di Pandora, conserva anche molti virus, sepolti da millenni, sconosciuti e potenzialmente molto pericolosi per l’uomo.

Ai tempi del coronavirus, rischia di passare sotto traccia la pubblicazione di uno studio, sulla autorevole rivista scientifica BiorXiv, che mette nero su bianco il vero rischio sanitario dei prossimi anni, causato dallo scioglimento dei ghiacci.

Lo studio, pubblicato a inizio gennaio, presenta i risultati di un progetto di ricerca iniziato nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi e cinesi, che hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nell’altopiano del Tibet. I ricercatori hanno perforato uno strato di ghiacciaio profondo 50 metri per ottenere due campioni, e attraverso l’analisi microbiologica, hanno identificato 33 gruppi di virus, 28 dei quali sconosciuti e sepolti da millenni. 

Il ghiaccio rappresenta per gli scienziati un archivio che consente di studiare cosa è accaduto nel passato. Attraverso i carotaggi nelle aree fredde del pianeta, è possibile quindi fare un viaggio nel tempo per capire quali fossero le condizioni del nostro pianeta e quindi dell’atmosfera nel passato.

In questo caso, lo studio delle carote di ghiaccio ha permesso di ricostruire la storia climatica fino a 15mila anni fa. Ora il rischio è che, per effetto del cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacci, liberi i batteri intrappolati per tutto questo tempo. Facendo arretrare anche i grandi ghiacciai himalayani, infatti, la crisi climatica può rilasciare nell’atmosfera antichi virus sconosciuti e quindi potenzialmente pericolosi per l’uomo che non ha gli anticorpi necessari per affrontarli.

I virus immagazzinati nel ghiaccio sono particolarmente complicati da estrarre e studiare, perché possono essere facilmente contaminati da elementi esterni. Gli scienziati hanno seguito un protocollo meticoloso per prevenire qualsiasi contaminazione e hanno poi utilizzato tecniche di microbiologia per decifrare il resto delle informazioni genetiche congelate nelle carote di ghiaccio.

Si tratta di agenti patogeni che potrebbero liberarsi nell’aria ed entrare in contatto con le falde acquifere: tra questi il vaiolo, l’antrace e persino la peste bubbonica, oltre ad altre malattie sconosciute. Tutto questo potrebbe accadere perché, mentre in condizioni normali ogni estate nel permafrost si scioglie uno strato di circa 50 cm di ghiaccio che d’inverno torna a formarsi, con il riscaldamento globale la copertura glaciale è in costante diminuzione.

Se la comparsa di alcuni virus oggi considerati sradicati, non rientra più nel campo della fantascienza, la minaccia arriverà a priori più dal disgelo del permafrost, che dalle carote perforate a 50 metri di profondità. Il disgelo dei ghiacciai – ovunque si verifichi – significa soprattutto la scomparsa di archivi virali e microbici insostituibili per gli scienziati, fondamentali per indagare sull’origine stessa della vita e l’emergere della biodiversità sul nostro pianeta.

A proposito di rischi futuri, il Global risk report 2020 del World economic forum, sostiene che tra i dieci rischi globali più probabili, i primi cinque sono ambientali. Tra i dieci rischi globali di maggiore impatto distruttivo, i rischi ambientali si trovano al primo, terzo e quarto posto. Le epidemie globali sono contemplate, ma con impatti minori. Il problema è che per contrastare il rischio climatico, il più probabile e più impattante non basta scoprire un vaccino. L’altro problema è che ci spaventa molto meno di quanto dovrebbe.

Francesca Santolini per La Stampa

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