Il corpo violato dall’intelligenza artificiale è reato
Ancora una volta, donne note del giornalismo, dello spettacolo e della politica sono statie “spogliate” dall’intelligenza artificiale.
Un sito, poi oscurato, raccoglieva centinaia di immagini di donne famose manipolate digitalmente, sorrisi veri su corpi inventati, nudità mai esibite, pose che simulano una pornografia consenziente, laddove il
consenso non è mai esistito
Una pornografia dell’inganno, dove la tecnologia amplifica il desiderio di possesso e il voyeurismo di massa, trasformando la violenza in intrattenimento.
Dietro questi contenuti c’è sempre la stessa logica antica, quella che riduce la donna a mero oggetto, un corpo disponibile, una bambola digitale da vestire e svestire a piacimento.
Non c’è nulla di virtuale in questo, il danno è reale, e tocca la reputazione, la libertà, la dignità
Ma finalmente arriva una buona notizia, una risposta legislativa attesa da anni.
Con la Legge 23 Settembre 2025, n. 132, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 Settembre ed entrata in vigore il 10 Ottobre 2025, l’Italia introduce finalmente uno strumento efficace contro questo tipo di violenza: l’articolo 612 quater del Codice Penale, che punisce la diffusione illecita di contenuti generati o alterati con sistemi di intelligenza artificiale.
Una norma che non si limita a colpire chi utilizza le immagini pornografiche, in assenza di consenso, ma riconosce l’esistenza di una criminalità potenziata dall’AI, capace di falsificare immagini, voci, documenti e identità
La legge adotta un approccio a largo spettro, prevedendo aggravanti per la diffusione a scopo di lucro o con intento diffamatorio, e strumenti di cooperazione internazionale per rintracciare i responsabili anche oltre i confini nazionali.
È una svolta giuridica, ma anche culturale, per la prima volta il legislatore riconosce che il confine tra reale e artificiale non è solo un tema etico, ma un terreno di responsabilità penale.
La violenza digitale è figlia di un maschilismo antico
I c.d. deepfake pornografici non sono un gioco tecnologico, ma una forma di violenza di genere.
Dietro ogni immagine falsificata c’è l’idea, sedimentata e durissima a morire, che una donna possa essere modellata, posseduta, esposta senza conseguenze.
È il maschilismo che sopravvive dentro la modernità, travestito da curiosità digitale.
Per questo certamente la risposta non può essere solo giudiziaria
Servono educazione, consapevolezza, cultura del rispetto e della responsabilità.
Perché il problema non è l’IA, ma l’uomo che la usa per umiliare e possedere.
Oggi chi crea o diffonde contenuti falsi realizzati con l’intelligenza artificiale rischia il carcere.
Ma non basta
Serve che ogni donna violata da un’immagine artificiale trovi il coraggio di denunciare, e che lo Stato garantisca ascolto, tutela, e tempi rapidi di rimozione e giustizia.
Il diritto è finalmente arrivato. Ora tocca alla coscienza collettiva
Perché, come ogni rivoluzione culturale, anche questa passerà inevitabilmente dalle aule di giustizia.
Denunciate, denunciate, denunciate!
