Il compleanno del MSI e la memoria selettiva della sinistra italiana

Il compleanno del MSI e la memoria selettiva della sinistra italiana
Le polemiche riemergono puntuali ogni 26 dicembre, anniversario della fondazione del Movimento Sociale Italiano.

Anche quest’anno la ricorrenza ha acceso lo scontro politico dopo che esponenti di Fratelli d’Italia hanno ricordato quella tradizione, suscitando la dura reazione di settori della sinistra, tra cui il senatore Dario Parrini

Secondo questa lettura, il MSI non sarebbe stato altro che la prosecuzione diretta e nostalgica della Repubblica Sociale Italiana: un partito fondato da ex repubblichini, intriso di autoritarismo, incompatibile con la democrazia e dunque indegno di qualsiasi rivendicazione storica.

Una narrazione che, pur contenendo elementi storici reali, è profondamente parziale e strumentale.
Nessuno nega che il MSI nasca nel 1946 anche da uomini che avevano fatto parte del regime fascista o della RSI.

Questo è un fatto storico

Ma ridurre l’intera esperienza del Movimento Sociale Italiano a una caricatura morale serve più a rassicurare chi demonizza che a comprendere la complessità della storia repubblicana.

Il MSI fu un partito legale, presente in Parlamento per quasi cinquant’anni, votato da milioni di italiani, sottoposto alle regole della democrazia costituzionale e mai sciolto per violazione dell’ordinamento repubblicano

È singolare come questa rigidità morale venga applicata solo a destra. Il Partito Comunista Italiano, che pure guardò con simpatia a regimi liberticidi, dall’URSS ai paesi del Patto di Varsavia, non viene oggi liquidato come una semplice emanazione di un sistema totalitario.
E giustamente: il PCI fu molto di più, un grande partito popolare, radicato nella società italiana, protagonista della vita democratica.

Lo stesso criterio storico dovrebbe valere anche per il MSI

La generazione politica di cui Parrini è figlio si è formata all’ombra delle Frattocchie, la celebre scuola quadri del PCI, dove l’ideologia veniva trasmessa in modo rigoroso e coerente.

Oggi, orfana di quella struttura culturale, una parte del Partito Democratico continua però a ragionare in modo ideologico, ma senza la stessa profondità intellettuale

Ne deriva una lettura a senso unico della storia, che pretende di assegnare patenti di legittimità democratica ex post.
Il punto centrale, che una parte della sinistra fatica ad accettare, è politico prima ancora che storico: la “fiamma” è oggi votata da una larga parte degli italiani.

È un simbolo che ha superato la prova delle urne, che accompagna una forza politica capace di vincere elezioni e governare nel rispetto delle istituzioni democratiche

Questa realtà non si cancella con anatemi morali o con appelli astratti alla “rinnegazione” della storia.

Quando il PCI rappresentava un terzo del corpo elettorale, la demonizzazione era non solo inefficace, ma ridicola. Oggi accade lo stesso con Fratelli d’Italia

Il “patentino” di presentabilità democratica non lo rilasciano i commentatori o gli avversari politici: lo conferisce il voto popolare.

C’è poi un paradosso che merita di essere sottolineato

La sinistra post-comunista ha rinunciato ai propri simboli storici, come la falce e martello, nel tentativo di adattarsi ai tempi.
La destra, invece, è arrivata al governo mantenendo il proprio simbolo identitario. Questo dato dovrebbe interrogare, non scandalizzare.

Chiedere oggi a un popolo che governa democraticamente di rinnegare la propria storia non è solo anacronistico: è surreale

È il modo migliore per alimentare la convinzione che una parte dell’opposizione viva in una dimensione ideologica separata dalla realtà del Paese.
L’Italia, prima o poi, dovrà fare davvero i conti con la propria storia senza dividerla in blocchi morali assoluti, con una parte “buona” e una “cattiva”.

La tradizione comunista e quella missina fanno entrambe parte della cultura politica nazionale

Lo dimostra anche il rispetto reciproco che seppero avere figure come Almirante e Berlinguer, ben lontane dall’odio ideologico che oggi si vorrebbe riesumare.
A quasi ottant’anni dalla nascita del MSI, continuare a usare quella storia come una clava politica non serve a difendere la democrazia.

Serve solo a evitare la domanda più difficile, ma anche la più necessaria: perché una parte crescente degli italiani continua a votare quella tradizione politica, nelle sue forme attuali?

Finché questa domanda resterà senza risposta, la demonizzazione resterà sterile. E la fiamma, piaccia o no, continuerà ad ardere.
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