Il caso Byoblu

Byoblu

Il recente servizio della trasmissione “Le Iene” ha portato nuovamente alla ribalta la vicenda della chiusura del canale Youtube di Byoblu.

Per chi non lo sapesse, Byoblu venne creato nel 2007 come blog da Claudio Messora e si è evoluto nel corso degli anni fino a diventare una vera e propria testata giornalistica on-line. Definito dai suoi detrattori come il campione del complottismo, Byoblu è sempre stato uno spazio aperto a tutte le voci, un ideale luogo d’incontro dove tutte le opinioni, senza importare quanto piccolo fosse il loro seguito, hanno sempre avuto parità di spazio e sono sempre state trattate con dignità e rispetto.

Byoblu aveva aperto, al pari tante realtà analoghe, un canale Youtube: i video raccoglievano milioni di visualizzazioni e, grazie alla monetizzazione, la testata di Messora riusciva a ricavare abbastanza soldi da poter sostenere ampiamente la propria attività.

La censura di Google

Tuttavia, alla fine del mese di marzo Google ha unilateralmente deciso di chiudere il canale di Byoblu per non meglio specificate violazioni dei termini d’uso.

Si tratta senza alcun dubbio di una grossolana interferenza nel dibattito politico e culturale italiano da parte di una multinazionale straniera. E non è neanche la prima volta che succede: il 9 settembre 2019 Facebook cancellò il profilo di Casapound affermando che “le persone e le organizzazioni che diffondono odio” non potevano essere presenti sulle sue piattaforme. Il 12 dicembre 2019, il Tribunale Civile di Roma ordinò a Facebook la riattivazione della pagina, condannando il social network al pagamento di 15.000 € per spese processuali. Nelle motivazioni della sentenza si leggeva “è evidente il rilievo preminente assunto da Facebook con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano (…)”. Ne deriva che l’esclusione di Casapound secondo la sentenza “è in contrasto con il pluralismo” poiché “elimina o fortemente comprime la possibilità” per il movimento “di esprimere i propri messaggi politici”. Alla stessa stregua bisognerebbe trattare Google per la chiusura del canale Youtube di Byoblu.

Tuttavia, Messora ha deciso di agire in forma differente: rivolgendosi al suo pubblico, ha iniziato una raccolta fondi. L’obiettivo della campagna era raccogliere 150.000 Euro. In poco più di una settimana ne ha raccolti oltre 400.000. L’idea del fondatore di Byoblu è la creazione di un canale sul digitale terrestre con cui continuare a dar voce alla controinformazione. Senza dubbio una risposta intelligente alla censura da parte della multinazionale statunitense.

La gravità dei fatti

Ciò non riduce comunque la gravità di quanto successo: che diritto hanno delle imprese straniere di interferire nel dibattito del nostro paese? Chi ha concesso loro il potere di censurare le dichiararazioni di liberi cittadini italiani? Quanta arroganza! Google, Facebbok e gli altri social network hanno bilanci tali da rivaleggiare con quelli di molti stati. Tuttavia, ciò non deve far dimenticare loro che finché operano in Italia debbono sottomettersi al pari di tutti alle leggi dello Stato Italiano.

L’Italia è una repubblica democratica e come tale riconosce a tutti i propri cittadini la libera espressione delle proprie idee. Certo, esistono dei limiti: ad esempio, nessuno ha il diritto di calunniare un’altra persona. Ma nel caso in cui si verifichino tali violazioni spetta ad un tribunale censurare e/o reprimere tali comportamenti. Byoblu è una testata giornalistica registrata, quindi in caso di violazione del codice deontologico può essere sottoposta ad azioni disciplinari da parte dell’Ordine dei Giornalisti. Fino a prova contraria, Google non rappresenta nessuno di questi due organismi. Quindi a dover essere censurata è la sua politica, non il lavoro svolto dalla testata di Messora.

 

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