Il campo largo si restringe e giustamente i liberali fuggono dalla sinistra di Schlein
Nell’ultima stagione politica italiana si sta consumando una frattura ormai evidente all’interno dell’area riformista e liberal-democratica.
L’episodio satirico in cui Maurizio Crozza ironizza su Carlo Calenda, insinuando che il leader di Azione sia ormai più vicino alle posizioni del governo Meloni che a quelle di Elly Schlein, coglie un sentimento crescente: il campo largo immaginato dall’attuale segreteria del Partito Democratico sta diventando un terreno politicamente inaccessibile per chi si riconosce in un’identità liberale, pragmatica e orientata al mercato
La battuta di Crozza racchiude una verità politica più profonda: nel momento in cui la sinistra italiana accentua un profilo statalista, sindacalizzato e ideologico, lo spazio per una collaborazione organica tra progressisti tradizionali e riformisti si restringe fino quasi a scomparire.
L’intervista concessa da Luigi Marattin a La Verità rappresenta un tassello importante per comprendere questa dinamica
Il segretario del Partito Liberaldemocratico sottolinea come riformare il centrosinistra sia una “missione impossibile”, non per mancanza di volontà, ma per ragioni strutturali.
Nella sua analisi, il Partito Democratico ha perso l’occasione di ridefinire un’agenda moderna incentrata su crescita, merito, produttività e riforme del mercato del lavoro
L’orientamento attuale, secondo Marattin, è improntato a un ritorno a formule di politica economica novecentesche, basate su un rapporto simbiotico con il sindacato e una visione fortemente interventista dello Stato.
In questo contesto, il riformismo si ritrova soffocato tra posizioni che privilegiano la redistribuzione rispetto allo sviluppo, e che difendono rigidità regolatorie difficilmente conciliabili con la competitività dell’economia italiana
Il punto sollevato da Marattin è netto: un partito che si definisce liberale non può accettare una piattaforma politica che, anziché affrontare i nodi strutturali del Paese, insiste sulla tutela di rendite e corporazioni.
La critica alla CGIL, alla contrattazione collettiva nazionale e alla scarsa attenzione verso la riduzione della spesa pubblica inefficiente si inserisce in questa visione
Secondo Marattin, l’Italia continua a eludere la questione cruciale della produttività, mentre Francia e Germania – pur con percorsi delicati – affrontano in modo più diretto le sfide poste dal mercato globale. È su questo solco che il Pld rivendica un’agenda alternativa: liberalizzazioni, riforma fiscale, meno Stato nell’economia e un welfare che accompagni la crescita invece di sostituirla.
È evidente che una piattaforma programmatica di questo tipo trova oggi più affinità con alcune misure del governo guidato da Giorgia Meloni che con le proposte della segreteria Schlein o dell’asse progressista con Fratoianni e Conte
Non si tratta di un avvicinamento ideologico, ma della constatazione che un liberale o un centrista fatica a collocarsi in un’alleanza che considera la crescita un tema secondario rispetto alla redistribuzione. Calenda e Marattin, pur con percorsi diversi, convergono su una diagnosi simile: nel panorama politico attuale, la sinistra tradizionale appare impermeabile a un progetto riformista, mentre la destra, pur con contraddizioni evidenti, mostra apertura verso alcune istanze di modernizzazione economica o almeno non le respinge pregiudizialmente.
La satira di Crozza, in questo senso, fotografa uno spostamento reale: per una parte del riformismo italiano, il campo largo non è più una casa possibile
L’alternativa non è necessariamente un’adesione al conservatorismo, ma il tentativo di costruire un polo liberaldemocratico autonomo, capace di dialogare con i governi su base programmatica e non identitaria. È la stessa ambizione che Marattin rivendica quando afferma che la sfida non è tornare a vincere contro un avversario politico, ma affermare una visione coerente di società. Una visione che, nel quadro attuale, risulta sempre più distante dal centrosinistra tradizionale.
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