Il debito pubblico e le dimissioni programmate di Boris Johnson

Le dimissioni di Rishi Sunak hanno solo accelerato i tempi

Gran Bretagna – Era in programma per la prossima settimana un annuncio congiunto del Premier Boris Johnson e del Cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak, Ministro delle finanze. I due avrebbero dovuto delineare insieme la strategia economica post-pandemia e soprattutto post-Brexit, per esaltare le opportunità offerte dall’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. 

Ma proprio le dimissioni di Sunak, assieme a quelle del Ministro della salute Javid, hanno innescato l’altro giorno la valanga di partenze dal governo, che ha costretto alla fine Johnson alle dimissioni. La tempistica dunque dimostra che c’è molto di più del Partygate o dello scandalo del “pizzicatore” Pincher dietro la fine del governo inglese. Nemmeno tre anni di vita, nonostante fosse stato rafforzato da una maggioranza schiacciante, uscita dal voto anticipato di fine 2019.

La politica di Boris Johnson

Ma Boris Johnson è così: un trascinatore in campagna elettorale, populista nei modi e nelle promesse; disastroso invece nella gestione e nell’esercizio di governo. Dietro la perdita di credibilità per le sue ripetute bugie alla camera dei Comuni c’è dunque uno scontro di fondo sulle prospettive economiche del paese. Uomo di destra e liberista estremo, Johnson non ha esitato però a dare il via a massicci aiuti pubblici: non soltanto per i settori danneggiati dall’uscita post Brexit dal mercato unico europeo (ad esempio l’automotive), ma anche per lavoratori e imprese durante la pandemia, con prestiti a fondo perduto e cassa integrazione (Forlough) anche agli autonomi.

Poi è arrivata la guerra in Ucraina, che ha visto la Gran Bretagna in prima fila nella fornitura di armi e negli aiuti economici e finanziari a Kiev. 

Il debito pubblico inglese è esploso

Così il debito pubblico britannico è esploso, passando dal 75/77 per cento del PIL pre-Brexit a quasi il 100/100 in primavera, livello mai raggiunto dopo gli anni Sessanta. “Legittimo uso della mano pubblica in tempi di emergenza”, Johnson così ha difeso le sue scelte. Il problema, però, è stato proprio voler continuare ad andare avanti in quella direzione.

Mentre Sunak e l’ala più ortodossa dei conservatori puntavano a cominciare un rientro graduale, Johnson, spinto dalle faide interne e sotto pressione per Partygate e gli altri episodi fatti uscire sapientemente dai suoi nemici, continuava a promettere nuovi investimenti per le aree depresse del Paese, taglio di tasse e aumento delle pensioni. Un libro dei sogni in una congiuntura economica di crisi generale, a cominciare dal costo dell’energia che ha fatto schizzare l’inflazione in Inghilterra all’11 per cento tendenziale, previsto entro l’anno. 

Il partito conservatore era  inorridito

Molti nel partito conservatore guardavano inorriditi alle dichiarazioni del Premier, sempre più avulse da un contesto economico che avrebbe invece consigliato di preparare il Paese ad un periodo di sacrifici.

Ma evidentemente le “lacrime e sangue” del suo idolo Churchill non sono parole amate da Johnson. Molti hanno ricordato che l’ormai ex Premier, ad esempio durante il suo periodo da sindaco di Londra, amava piuttosto “splash the cash”. Munifico e generoso per sé e per gli altri, se si trattava di denaro pubblico. In tempi difficili come questi un atteggiamento troppo disinvolto decisamente rischioso.

Non è un caso che la rivolta contro Johnson venga dalle dimissioni del suo ministro economico. C’è molto di più dietro questa crisi che non i brindisi a Downing street durante i lockdown. Un’uscita drammatica, che può creare una crisi anche istituzionale se Johnson si ostinerà a rimanere a Downing street fino alla elezione del successore.

L’instabilità politica britannica

Continua insomma lo stupefacente periodo di instabilità della politica britannica. Un tempo era sinonimo di governi stabili e duraturi. Oggi il Regno Unito dopo il voto del 2015 (Cameron Premier per la seconda volta) ha visto il referendum sulla Brexit e elezioni politiche anticipate ogni due anni. Adesso si escludono nuove consultazioni. Ma probabilmente la durata della legislatura, che dovrebbe teoricamente raggiungere il 2024, sarà invece più breve. Con possibili elezioni l’anno prossimo.

La Gran Bretagna aspetta il nuovo premier

Tutto dipenderà da se e come il nuovo (o nuova) leader del partito conservatore e nuovo (o nuova) Premier riuscirà a ricompattare le forze interne. Se sfrutterà a pieno l’ampia maggioranza Tory alla Camera dei Comuni. Dopo il ciclone Johnson i conservatori sceglieranno probabilmente una guida tradizionale e solida. Nomi ce ne sono tanti. In queste ore arrivano le prime candidature ufficiali. Nessuno di particolare spicco o carisma personale. 

Esattamente quello che ci vuole per rimettere ordine in un partito dilaniato e sotto stress. Partito che ha trovato una parvenza di unità soltanto nella scelta di imporre a Johnson di andarsene. Come ha sintetizzato l’altro ribelle eccellente, l’ex Ministro della salute Sajid Javid, “enough is enough”. Chiuso un capitolo, ora il dopo Johnson è tutto da scrivere.

 

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FONTE: ispionline.it

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