Gasperini e il Patriarcato

Gasperini e il Patriarcato

Fa discutere la presa di posizione espressa mediante un post sui social del consigliere comunale di Cecina (LI) Lorenzo Gasperini, il quale ha scritto: “Essere maschi non è un reato. Non cedete al ricatto. Viva il patriarcato”.

Tre frasi semplici e dirette

Naturalmente sulla prima non vi può essere dubbio alcuno. Il consigliere Gasperini ha ragione da vendere. La criminalizzazione del maschio in atto ormai da anni attraverso una narrazione che vuole l’uomo portatore sano di violenza intrinseca, non regge alla prova dei fatti e della logica. Eppure è funzionale a un disegno culturale che vuole annullare le differenze e le specificità per procedere spediti verso una pericolosa omologazione di genere. Una narrazione dunque pericolosa perché tenta di confondere eguaglianza con egualitarismo e chiudere il dibattito e il confronto con la semplicistica accusa verso chi si oppone di essere un maschilista incallito difensore del modello patriarcale che vuole la donna in posizione di subordinazione rispetto all’uomo.

Ma è veramente così?

Per Gasperini assolutamente no. Anzi. E’ proprio la narrazione progressista che indebolendo l’uomo, femminilizzandone l’essenza, agevola i femminicidi.
L’uomo femminicida è un uomo debole, che non sa reggere il rifiuto, che è incapace di dominare le emozioni. E quando si presentano nella loro forma peggiore – rabbia e aggressività – non ha la forza di impedire che si traducono in violenza sovente omicida sfruttando la naturale maggior forza fisica.

Insomma, ciò che dovrebbe esser usato per proteggere  -la prestanza fisica- viene usata per ferire secondo Gasperini. E finché si tenderà a negare questa naturale caratteristica dell’uomo, connessa alla sua virilità, i risultati non possono che essere deleteri.
Ecco, questo uomo debole, secondo i tratti che ho provato a descrivere sinteticamente è immerso in una società eccessivamente materna, che ha smarrito il senso del limite.

La spada non funziona più nella sua dimensione archetipica di tracciare il confine tra ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Il padre è morto.

Ecco il punto centrale!

L’uomo che diventa dipendente affettivo e al contempo vigliacco, è epitome di una società monadica e patologicamente individualista. Di un individualismo narcisistico che non regge il confronto, non regge la sconfitta, non conosce il valore catartico della sofferenza. Non è una questione di genere, ma di modello sociale che si manifesta in tanti ambiti dell’umano agire.

Tolto ciò che ci rende “collettivi”, come il patrimonio di valori comuni, un’identità in cui rispecchiarsi attraverso il tempo e lo spazio, una religione che premia e che punisce, rimane solo il singolo ego, spogliato di ogni sovrastruttura. E in questa dimensione “nuda” e sola l’ego, ridotto alla sua natura animale, lotta per ciò che crede essere la propria sopravvivenza. Fino alla morte, data ad altri o autoinferta, ovvero talvolta ambedue.

Quindi il problema non è il cosiddetto patriarcato, ma semmai l’opposto: l’assenza di virilità sana e solida, come fa notare giustamente Gasperini a vantaggio invece di qualcosa che si fa sempre più orgogliosamente (sic!) fluido.
Ma sposare teorie fluide mistificandole per  evoluzione sociale si rivela un potente inganno. Il radicalismo femminista che strumentalizzando la morte della povera Giulia ripropone la guerra contro il maschio, altro non è che la sublimazione di un modello di dominio che non si intende mutare, ma solo modificare nell’ordine degli addendi. Una lotta di potere niente di più e niente di meno.

Altro che lotta al patriarcato!

E mentre si fa questo, si trascurano modelli realmente patriarcali, fatti di gerarchia violenta in cui la donna è veramente considerata inferiore in quanto tale, e quindi può essere venduta in sposa, torturata, stuprata, ovvero, in caso di rifiuto, uccisa.

Ma in quel caso non scatta la giaculatoria progressista-femminista, così come non vi è indignazione che porta a scendere in piazza. In quel caso tutto è normale, perché ciò che conta è attaccare il nostro modello di società grazie al quale gli individui – uomini e donne – hanno visto moltiplicarsi negli ultimi decenni i propri diritti. Ciò, a differenza di altri modelli di società che si impongono in modo sempre più aggressivo e invadono della loro distorta ideologia persino le Organizzazioni Internazionali.

Non fanno specie infatti gli stupri perpetrati ai danni delle donne israeliane durante l’ultimo attacco del 7 Ottobre ad opera di Hamas. In quel caso sono altri i parametri che lor signori prediligono.

Quelle – secondo i progressisti – non sono donne stuprate e uccise da un modello maschilista che le considera oggetto di piacere o di vendetta, a seconda dei casi.

E questo avviene con l’avallo della cultura  dominante, in cui si assiste al paradosso per il quale  chi si pretende alfiere contro il patriarcato immaginario  diviene invece il difensore dei patriarchi reali  altrove.

Chi immagina discriminazioni in Occidente chiude gli occhi di fronte alla violenza contro le donne in alcune aree del mondo e persino in enclavi sempre più copiose nelle nostre società.

Un cortocircuito evidente che sembra non preoccupare i protagonisti di questa dissociazione mentale e sdoppiamento della personalità che non vedono il rischio del “cavallo di Troia”.

E allora riflettiamo

Prendiamoci un minuto. Facciamo tacere l’ideologia e guardiamo le cose come stanno. E’ davvero il maschio in quanto tale il problema? O non ha forse ragione Gasperini quando denuncia queste contraddizioni chiamandole per quello che sono: un ricatto! Al quale non si deve sottostare in alcun modo. O forse non ha ragione Gasperini quando dice che non bisogna scusarsi di essere maschi. Le responsabilità sono personali e tali debbono rimanere, perché diversamente si finisce nel totalitarismo?

Ebbene, l’uomo ha il compito di riappropriarsi della propria identità smarrita che è contraria in re ipsa a episodi come quelli che stiamo commentando. E lo deve fare in alleanza stretta con la donna.

Diciamo basta al ricatto, diciamo basta a teorie divisive. Vi prego, diciamo basta!

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