FIAT: Cacherano di Bicherasio, il vero fondatore, morto “suicida” nel 1904 con un colpo di pistola alla testa che però era intatta…

emanuele cacherano di bricherasio EMANUELE CACHERANO DI BRICHERASIO

A ricordarlo con convegni, spettacoli e mostre, a 150 anni dalla nascita, è soltanto il comune di Fubine Monferrato, in provincia di Alessandria, dove è sepolto nella cappella di famiglia. Nessun altro, a cominciare da Torino, lo rammenta. Eppure il conte Emanuele Cacherano di Bricherasio, nato a Torino il 25 agosto del 1869 e morto in circostanze oscure (forse un suicidio, oppure, come pure si ipotizza, addirittura un omicidio) ad Agliè (Torino) il 10 ottobre del 1904, dovrebbe essere celebrato come uno dei grandi pionieri dell’ automobile. E fu soprattutto il vero fondatore della Fiat.

Nel 1899 “era stato Bricherasio”, scrive Valerio Castronovo nella biografia di Giovanni Agnelli, “ad avanzare l’ idea in febbraio di un moderno complesso industriale in grado di integrare le lavorazioni meccaniche a quelle di carrozzeria. Il futuro senatore Agnelli, il nonno dell’ Avvocato, si era associato alla combinazione due mesi dopo”.

GIOVANNI AGNELLI

Nel luglio del 1899, in ogni caso, proprio nel torinese Palazzo Bricherasio il conte Emanuele e altri otto soci, tra i quali Agnelli, fondarono la Fiat. Conscio dell’ importanza del momento, come racconta Donatella Biffignandi, del Centro di documentazione del Museo Nazionale dell’ Automobile di Torino, in un suo bello scritto sul nobiluomo, Bricherasio “commissiona al pittore Lorenzo Delleani il compito di rappresentare quell’ istante, eternando i volti dei nove padri fondatori”.

Gli “otto si stringono intorno alla figura centrale del Bricherasio, l’ unico in posizione dominante sugli altri, l’ unico ad essere vestito di bianco, mentre tutti gli altri sono in grigio o in scuro, l’ unico ad essere ripreso proprio all’ atto della firma. C’ è chi guarda Bricherasio, come Biscaretti, c’ è chi fissa lo spettatore; il più impassibile di tutti è Agnelli, che non guarda in faccia nessuno e che, seppure messo da Delleani in seconda fila e seduto, spicca per avere lo stesso atteggiamento eretto e il volto alla stessa altezza del conte Emanuele”. D’ altronde, narra Castronovo, fin dall’ inizio Agnelli “si era posto in luce per un certo impaziente dinamismo e per la rapidità con la quale affermava la sostanza delle questioni”.

I FONDATORI DELLA FIAT DI LORENZO DELLEANI AL CENTRO EMANUELE CACHERANO DI BRICHERASIO

Il conte Cacherano, rampollo di un antico casato sabaudo e amministratore di un cospicuo patrimonio fondiario, e il borghese Agnelli, figlio di un possidente agricolo di Villar Perosa, sono agli antipodi. Appassionato non solo di automobili, ma di sociologia e di scienze politiche, Bricherasio crede in altre cose: nel progresso sociale, per esempio, nell’ amicizia, nei valori rappresentati dall’ Arma di Cavalleria. Non nasconde nemmeno la sua simpatia per le idee socialiste, tanto che verrà chiamato il “conte rosso”. Agnelli obbedisce solamente al dio del profitto; e la posta in palio agli inizi del nuovo secolo, ossia il controllo dell’ azienda, se la prende tutta, quasi subito, lui, destinato a diventare il capostipite della famiglia regnante dell’ auto.

GIOVANNI AGNELLI SENIOR E JUNIOR

Il nobiluomo sognatore incassa, intanto, la prima delusione. Si tratta, poco dopo la costituzione della Fiat, di nominare i membri del consiglio d”amministrazione e di procedere all’ assegnazione delle cariche sociali. Per queste ultime, su proposta di Roberto Biscaretti di Ruffia, la presidenza è data a Lodovico Scarfiotti, e non al conte.

La “delusione di Bricherasio”, osserva la Biffignandi, “deve essere enorme. Scarfiotti non è un ingegnere, non è un tecnico, nè si è messo in una luce particolare per qualcosa. È un avvocato, e questo la dice lunga sull’ impostazione che la società appena costituita intende darsi: appare prioritaria la volontà di muoversi con sicurezza in campo legale, finanziario, borsistico”.

Il contrasto si acuisce quando Agnelli decide di sbarazzarsi dell’ ingegnere Aristide Faccioli. Un “genio della progettazione e della sperimentazione”, che tuttavia, per Agnelli, non è in grado di guidare la produzione industriale. Bricherasio, rievoca Donatella Biffignandi, “si oppone (‘ritiene che non si possa fare a meno dell’ ing. Faccioli’) ma ormai è in minoranza”.

L’ATTO COSTITUTIVO DELLA FIAT DATATO 11 LUGLIO 1899

La crescita di potere di Agnelli “non può non riflettersi in un progressivo indebolimento dei restanti consiglieri. In particolare Bricherasio, che conserva la carica di vice presidente, si limita ad interventi sporadici e poco significativi, in genere in linea con le opinioni della maggioranza; non mantiene nemmeno la stessa continuità di presenza alle riunioni. D’ altra parte Agnelli fa tutto e pensa a tutto”.

GIANNI AGNELLI FABBRICA-FIAT

Siamo al tragico epilogo. Nell’ ottobre del 1904, alla vigilia di un Consiglio di amministrazione della Fiat in cui Cacherano di Bricherasio aveva annunciato di voler “vedere tutte le carte”, nel castello di Agliè, ospite del duca Tommaso di Savoia-Genova, cugino del re, secondo la versione ufficiale il conte si uccide con un colpo di pistola in testa.

LAPO ELKANN – GIANNI AGNELLI

Giorgio Caponetti ricostruirà nel romanzo Quando l’ automobile uccise la cavalleria, uscito qualche anno fa, lo scenario di quella morte: una breve notizia sui giornali; e nessuna autopsia, nessuna inchiesta. Il campione di equitazione Federigo Caprilli, il solo a vedere il corpo dell’ amico prima del funerale, dirà che il viso e le tempie sono intatti.

Però Caprilli, agli inizi del dicembre 1907, muore a sua volta senza testimoni per una caduta da cavallo, di notte, in una via di Torino. Nell’ ottobre 1904, conclude la Biffignandi, Scarfiotti “commemora con nobili ed elevate parole il vice presidente conte Bricherasio, così improvvisamente rapito alla stima della Società, all’ affetto della famiglia e degli amici.

La Fabbrica e l’ Automobile Club perdono un amministratore zelante e un Presidente modello”. Ma quello “zelante” è “un aggettivo forse attribuibile più ad un onesto e diligente impiegato che non a qualcuno che ha lasciato traccia significativa della sua opera”.



 

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