Etica, comunicazione e verità

La morte di Giovanna Pedretti, ristoratrice del lodigiano, probabilmente suicidatasi nella mattina di domenica scorsa, dovrebbe far riflettere tutti noi su che cosa stia diventando questa società. Di cosa stanno diventando i social media e di quale incauto potere consegnano nelle mani di leoni da tastiera più o meno conosciuti.

Il caso di Giovanna Pedretti

La donna, infatti, era stata oggetto di pesanti accuse, persino da parte di personaggi di pubblica notorietà, a seguito di una recensione sul suo locale e nella quale un cliente si era lamentato di aver cenato in un tavolo accanto a quello dove erano seduti dei gay e un disabile.
A tale vergognosa recensione, la ristoratrice aveva risposto per le rime, condannando ovviamente la presa di posizione del maleducato avventore.
E fin qui tutto bene!

La recensione e il fango

Solo che poi, come l’acqua putrida che carsicamente riemerge di tanto in tanto, il fiume di fango ha iniziato a coinvolgere proprio la ristoratrice: si sono moltiplicate le voci che mettevano in dubbio la veridicità della recensione e qualcuno – evidentemente per il puro gusto di spargere veleno, tipico dei leoni da tastiera – ha insinuato che quella recensione se la fosse scritta da sola la Sig. Pedretti per poi poter apparire nel successivo commento come difensore delle minoranze ingiustamente discriminate.
Insomma, secondo queste tesi, la Sig. Pedretti se le sarebbe cantate e suonate, per usare una espressione forse popolana ma estremamente efficace.
Poi, come se la questione non fosse già sufficientemente surreale, ci si sono messi pure dei calibri da novanta a speculare sulla vicenda, al netto di ogni competenza specifica.

Leoni da tastiera

Purtroppo il mare della rete e dei social è pieno di piccoli pesciolini che davanti a una tastiera si sentono pescecani, autoautorizzati a spargere veleno (vorrei scrivere un’altra parole, ma non si può!) su perfetti sconosciuti, magari su persone che lavorano 12 ore al giorno per fare andare avanti un’attività e che non hanno tempo di dilettarsi con le sciocchezze (vorrei scrivere un’altra parola, ma non si può!) virtuali.

Tesi pericolose……

Ma quando a intervenire sono personaggi e opinionisti pubblici, è necessario stare molto attenti e utilizzare cautela. Si rischiano di rovinare vite e reputazioni con esiti, come in questo caso, fatali.
Non si sa cosa realmente sia accaduto con riferimento alla contestata recensione. Gli accertamenti, come doveroso, le faranno le autorità competenti; per questo, dunque, sarebbe opportuno evitare di ipotizzare scenari che non si sa quanto verosimili siano.
La tesi per la quale la ristoratrice avrebbe scritto essa stessa la recensione “discriminante” per poi controribattere in una sorta di dialogo virtuale con se stessa, è certamente ardita e getta una inquietante ombra sulla povera Giovanna Pedretti. E cioè, quella di una imprenditrice senza scrupoli per a meri fini di marketing strumentalizza la lotta contro la discriminazione.

… e senza prove

Certamente un’accusa potenzialmente infamante di cui occorrerebbe essere certi prima di avanzarla, soprattutto quando non colpisce un personaggio pubblico, si suppone ben avvezzo a critiche feroci, ma una cittadina normale che si spacca la schiena per 10 ore al giorno in un ristorante e che ha una reputazione specchiata e inattaccabile.
Sarebbe opportuno fornire prove un po’ più concrete dell’analisi dei font o dell’interlinea.
Fa sorridere il fatto che poi questi pubblici ministeri virtuali si ergano a tutori della verità e dell’informazione corretta. Insomma, chi ve lo ha chiesto? Che titoli avete?
Invero, se non ci fosse da piangere (per la Sig. Pedretti) ci sarebbe da ridere di certe uscite che pretendono di autoattribuirsi etichette di alfieri di corretta informazione.

Etica e comunicazione

Già la corretta informazione!
Un tempo esisteva un’etica della comunicazione, che – siamo d’accordo – riguarda a stretto rigore chi di lavoro fa il giornalista (e nessuno delle due superstar coinvolte è giornalista) ma oggi non se ne vede più traccia. Strumentalizzare dei fatti, ancor di più quando nemmeno accertati come veritieri, dovrebbe essere qualcosa che fa torcere le budella a chi dà e a chi riceve informazioni, ma tant’è. Siamo nell’era della post-verità. I fatti non contano ma solo le opinioni tanto più se corroborate da tanti inutili like di tifosi ignobili. Siamo nell’era dell’infotainment, conta l’emozione suscitata, i fatti sono appendici! Mala tempora currunt! E le varie Fallci, i vari Montanelli e Scalfari si rivoltano nella tomba a vedere che cosa è diventata oggi l’informazione, lasciata in mano a personaggi che di Giornalismo non sanno assolutamente nulla.

Un esame di coscienza collettivo

D’altra parte nell’epoca dei social media i cittadini sono diventati giornalisti (improvvisati e maldestri) , e si arrogano il diritto di parlare, scrivere, persino infamare chiunque, convinti che non vi sia alcuna punizione e nessuna conseguenza. Poi capitano le tragedie e dovremmo tacere. Fare un passo indietro. Riflettere.
La cronaca ne è piena, dal cyberbullisimo, a accuse infamanti che poi si rilevano dei flop clamorosi. Ma intanto le vite sono state distrutte, reputazioni andate a farsi benedire, e qualcuno ci ha pure rimesso la pelle.
Che importa! Show must go on, alla ricerca della prossima vittima – come ha giustamente detto la figlia della povera Giovanna Pedretti.

“Ad un grande potere corrisponde una grande responsabilità”

Una battuta di un famoso film recitava “a un grande potere, corrisponde una grande responsabilità”. Ecco, questa è una responsabilità che dovremmo sentire tutti, quando ci accingiamo a scrivere post, commenti, recensioni, o per chi si diletta, articoli di giornali. Dal momento che si invade la vita di altre persone, dovremmo tutti quanto maneggiare con cura questo materiale fragile.. insomma farlo con responsabilità. Quando la comunicazione coinvolte poveri cittadini normali, che magari lavorano, hanno una famiglia, hanno delle fragilità personali, non si può giocare con il fuoco. I confini sono labili e la tragedia dietro l’angolo.
Che magari poi ci scappa il morto, e magari non troviamo nemmeno la sensibilità di piangerlo!

 

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