Draghi al capezzale del “malato d’Europa”

sotto tutela

L’Italia è il “malato d’Europa” – Accertata l’insussistenza della vecchia maggioranza politica di Centrosinistra, implosa per l’impossibilità di trovare quell’accordo sulle poltrone che era la loro principale preoccupazione, il Presidente della Repubblica ha subito bocciato l’ipotesi del ricorso alle urne. Questo a dimostrazione che l’unica certezza in questa crisi è data dal rifiuto del voto popolare! Ha affidando a Mario Draghi l’incarico di formare e guidare un governo, di unità o salvezza nazionale che dir si voglia, a forte caratura tecnica e istituzionale.

Ora è chiaro che questa scelta pone la politica nel suo complesso di fronte al proprio fallimento e, di conseguenza, di fronte alle proprie responsabilità. Per cui stilare l’elenco dei perdenti o dei vincitori non ha molto senso.

Certo, resta la duplice soddisfazione: di veder andar via quell’azzeccagarbugli di Conte assieme a tutta la sua banda di scappati di casa; e di assistere al rancoroso regolamento di conti interno ed esterno all’arrogante PD, con ricadute tutte da verificare sugli enti locali in mano al Centrosinistra.

Ma è una magra soddisfazione per chi vorrebbe che fosse comunque il Popolo sovrano a decidere. Dal canto suo la Borsa ha già festeggiato la scelta del Quirinale con un generale rialzo dei titoli, confermando in tal modo il severo giudizio dell’economia sulla qualità dell’attuale politica.

Un governo Draghi, dunque. Per curare il “malato”

Attenzione però a credere che questo sarà il solito governo tecnico alla Monti. No, perché con l’esperimento Draghi si apre in realtà una nuova fase della politica italiana. Ed inizia un faticoso ma ineluttabile processo di ristrutturazione dei partiti con relativo riposizionamento in ambito nazionale e sovranazionale.

Se un personaggio come Mario Draghi -la cui autorevolezza è universalmente riconosciuta- scende in pista è perché tutto un vasto ed articolato mondo trasversale di finanza, poteri forti e potentati politici, si è messo in moto a livello internazionale prima ancora che nazionale. A riprova che l’Italia viene oggi ritenuta -per riprendere una vecchia definizione della diplomazia- il “malato d’Europa”.

Un malato che non può essere lasciato morire, in ragione di diverse considerazioni economiche e geo-politiche, e che va pertanto assistito e aiutato. Il che, per noi, è un problema ma anche una grande opportunità, se vogliamo ragionare in termini di rilancio per il futuro.

Draghi, si sa, è persona prudente e stimata, capace di rassicurare i mercati cui dobbiamo far ricorso per reperire le risorse necessarie a ripagare il nostro debito, e che al momento opportuno sa mettere in riga anche i boriosi tedeschi. Come ha già fatto alla Banca centrale europea, dando una grossa mano al nostro Paese.

Draghi non è schiavo dell’Europa, ma la tratta da pari

Lui non è come Monti, Renzi o Conte: tutti asserviti ai Potentati europei. Lui è uno che con questi Potentati tratta da pari a pari, anche in virtù delle coperture di cui dispone. È quindi l’uomo giusto al posto giusto e al momento giusto. Così stando le cose è evidente che all’interno dei partiti ci sarà sicuramente una grande agitazione; ma per tutti non v’è scelta.

Cosicché un variegato campionario retorico fatto di esibizioni muscolari, toni alti e richiami sentimentali, verrà messo in campo nell’intento di coprire il fatto che saranno “obbligati” a dare la fiducia a Draghi. Chi in modo più convinto, chi a malincuore, chi per convenienza, chi a scadenza, chi esigendo cambiali, chi con appoggi esterni, e chi, frantumandosi, con alcune sue parti a favore ed altre no. Insomma, ne vedremo delle belle. 

Io mi auguro che il Centrodestra sostenga comunque il tentativo di Draghi, mantenendo sostanzialmente la propria unità sia pur con le opportune e legittime differenziazioni. Perché, da tale appoggio, avrebbe tutto da guadagnare sul piano politico.

Specialmente la Lega, che potrebbe così rilegittimarsi in Europa e in altri ambienti internazionali. A meno che la Lega non voglia lasciar crescere attorno alla figura di Draghi un polo neo centrista, col rischio di veder minare la  propria base elettorale nelle regioni del Nord. Ma sarebbe un tragico errore, che finirebbe con indebolire l’intero Centrodestra. 

Il Centrodestra è un coyote che latra alla luna

E, a proposito di Centrodestra, se un rimprovero ho da muovergli, guardando agli accadimenti dell’ultimo anno, è che dice cose giuste senza però riuscire ad incidere efficacemente sugli eventi. La richiesta reiterata di elezioni anticipate, ad esempio, è non solo giusta ma anche corretta sul piano del diritto costituzionale.

Ma se alle elezioni non ci si va, perché chi decide lo scioglimento delle Camere non ti ci manda, occorre per forza pensare ad una alternativa, predisporre un piano B (cosa che ha fatto solo il vecchio Berlusconi avanzando il nome di Draghi). Altrimenti si finisce con l’assomigliare ad un coyote che latra alla luna in pieno deserto. 

L’appoggio a Draghi può pertanto consentire al Centrodestra di rimettersi concretamente in gioco, riproponendo i temi delle proprie tradizionali battaglie: dalla soluzione dell’emergenza sanitaria a quella dell’emergenza socio-economica; dalla riduzione fiscale alla tutela e valorizzazione della piccola e media impresa, che è l’asse portante dell’economia nazionale; dalla riforma della giustizia alla realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie allo sviluppo; e via dicendo.

La fiducia a Draghi deve essere quindi vista come una occasione per tornare a pesare politicamente. Perché l’Italia ha assolutamente bisogno di un Centrodestra forte. Forte non solo per la sua capacità di raccogliere consensi, ma anche per la sua capacità di fare politica, di incidere cioè sui fatti della vita pubblica. 

Insomma, dare la fiducia al tecnico Draghi significa tornare alla politica. Parrebbe un paradosso. Ma nel Bel Paese è la realtà ad essere paradossale.

 

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