Conte, Schlein e la resa dei conti del centrosinistra
Il leader M5S in crisi e il PD radicalizzato: due debolezze che non fanno una forza. L’illusione del “campo largo” e la fine della superiorità morale.
Nel vortice politico di fine luglio, l’articolo del Corriere della Sera che descrive un Partito Democratico in “panico” per le mosse di Giuseppe Conte coglie, forse senza volerlo, il cuore di un problema più ampio: la dissoluzione di credibilità del centrosinistra nel suo insieme
Giuseppe Conte, l’uomo che avrebbe dovuto rifondare il Movimento 5 Stelle in chiave istituzionale, è oggi un leader isolato. In conflitto aperto con Beppe Grillo, che ha ripreso il controllo simbolico e strategico della creatura pentastellata, Conte si ritrova privo di linea, di appeal e soprattutto di partito. L’unico appiglio che gli resta sembra essere quello di aggrapparsi a un PD già di per sé in difficoltà, nel tentativo di ritagliarsi un ruolo da federatore o da ago della bilancia. È, di fatto, un tentativo di vampirizzazione politica: sopravvivere succhiando linfa a un soggetto più grande, ma oggi claudicante.
Dall’altra parte, il Partito Democratico appare sempre più come un partito in cerca d’autore. Sotto la guida di Elly Schlein, la sua identità si è radicalizzata: la priorità sembra essere data a temi identitari, collettivisti, a battaglie di minoranza che pur avendo legittimità politica, rischiano di trasformare il PD in una somma di micro-nicchie culturali, piuttosto che in un grande contenitore progressista. Il risultato?
Una crescente alienazione di quel pezzo di elettorato riformista, laico, europeista, che ha sempre costituito il baricentro silenzioso del centrosinistra. Oggi si sente non più rappresentato, ma ostracizzato.
A rendere il quadro ancora più surreale c’è l’ultima voce a credere ancora nel “campo largo”: Matteo Renzi. Ma la sua è una fede che somiglia più a una scommessa disperata. Dopo aver predicato per anni che “le elezioni si vincono al centro”, ora si trova costretto a cercare alleanze proprio con chi il centro lo disprezza. Una contraddizione che fotografa perfettamente lo stato confusionale della politica italiana
E poi c’è la questione morale. Le recenti inchieste che hanno coinvolto esponenti del PD a Prato e Milano – al di là dei loro esiti – hanno riaperto una ferita mai chiusa: quella della presunta “superiorità etica” della sinistra. Una presunzione che ha tenuto banco per decenni, da Tangentopoli in poi, quando il PCI riuscì a rimanere in piedi mentre tutto crollava intorno. Il famoso “conto gabbietta” è ormai dimenticato, ma rappresentò una delle poche incrinature in quella narrativa. Da allora, il PD ha vissuto anche di quella convinzione: “Noi siamo diversi”. Ma quanto regge, oggi, quella diversità?
Chi ha votato PD lo ha fatto spesso in nome di quella differenza morale. Per poter chiedere a gran voce le dimissioni degli indagati avversari, e voltarsi dall’altra parte quando toccava ai propri.
Senza mai mettere in discussione nemmeno chi conduceva quelle indagini
Eppure, secondo dati del Ministero della Giustizia e di associazioni come Openpolis, solo una minoranza delle inchieste su politici si conclude con una condanna definitiva. Tra il 2010 e il 2020, oltre il 60% degli indagati sono stati assolti, spesso “perché il fatto non sussiste”. Quante carriere e vite rovinate per nulla?
Il centrosinistra oggi non ha bisogno di panico, ma di autocritica
E soprattutto di visione. Invece, pare muoversi soltanto per inerzia, con l’unico scopo di garantire la sopravvivenza parlamentare dei suoi eletti. Ma chi pensa solo a restare seduto, prima o poi viene scavalcato. Servirebbe un’opposizione seria, costruttiva, meno ideologica e più radicata nella realtà. Un’opposizione che non si limiti a gridare “resistenza”, ma che sappia anche indicare una direzione. Perché chi la fa, l’aspetti. E chi non cambia, scompare.
Leggi anche:
“Coltiva Italia”: un piano da un miliardo per aumentare il rifiorire dell’agricoltura nazionale
www.facebook.com/adhocnewsitalia
SEGUICI SU GOOGLE