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CONSENSO LIBERO E ATTUALE: PROBLEMATICHE GIURIDICHE

di Kishore Bombaci
18 Novembre 2025
In Politica
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CONSENSO LIBERO E ATTUALE: PROBLEMATICHE GIURIDICHE

Di pochi giorni fa è l’approvazione in Commissione Giustizia della Camera di un emendamento bipartisan che modifica l’art. 609 bis del codice penale, norma che punisce la violenza sessuale con una pena che va da 6 a 12 anni.

La novella legislativa – instestata espressamente a PD e FDI – introduce la formula “senza il consenso libero e attuale” quale presupposto del reato di violenza sessuale. Cioè, in assenza di consenso così qualificato, si integra la fattispecie di reato

Inoltre, si estende detta fattispecie anche a chi “induce” l’atto sessuale abusando di “particolare vulnerabilità” della persona offesa al momento del fatto.
Molti parlano di una riforma assolutamente indifferibile, persino storica, a tutela delle donne. La co-firmataria dell’emendamento in questione, Michela De Biase (PD) lo ritiene l’avamposto contro ogni attacco alle donne vittime di stupro che, in sede processuale, si vedono “maltrattate” da qualche avvocato difensore e messe in discussione sul piano personale e della ricostruzione della vicenda di reato solo perchè “non hanno detto di no” o non lo hanno fatto in modo sufficientemente chiaro.

Per questo l’emendamento è stato salutato con ovazioni bipartisan.
Tuttavia, la questione è molto più complessa di così, e abbandonarsi ai facili entusiasmi per una norma dal marcato sapore ideologico non necessariamente serve alla causa

Vi sono dei nodi giuridici e operativi che possono emergere nel dare attuazione a questo emendamento la cui sottovalutazione potrebbe generare enormi problemi di diritto sostanziale e procedurale. Insomma, la materia non può essere affrontata con il piglio femminista di chi è interessato molto più alle valenze simboliche della questione piuittosto che alle sue ricadute pratiche in termini di “sistema-processo”.

Primo punto dolens, la definizione di consenso “libero” e “attuale”.
Il termine “libero” è plausibile certo, ma resta ambiguo: come definire giuridicamente la “pressione” psicologica o economica che fungerebbe da argine alla libertà della donna?

In assenza di minaccia esplicita, comprendere la valenza di pressione psicologica e economica quale elemento integrante la fattispecie di reato è tutt’altro che semplice. Banalmente perchè la libertà del consenso attiene al foro interno della persona e un consenso estorto per pressione (dissenso implicito) lascia enormi margini di alea nella ricostruzione dell’quadro piscologico in cui si sarebbe consumato il reato.

Insomma, non sempre è evidente quando una persona senta “pressione” pur in assenza di minaccia esplicita e quale incidenza abbia tale percezione sulla propria volontà. Il rischio di un errore sul consenso è, dunque, assolutamente verosimile (nell’emendamento manca una norma che ne disciplini la fattispecie), e, non essendovi nel nostro ordinamento il reato di violenza sessuale colposa, l’autore del fatto risponderebbe sic et simpliciter a titolo di dolo.

L’ampliamento della nozione di dolo in simili fattispecie determina effetti distorsivi sul piano della quantificazione della pena e della ragionevolezza del trattamento

Ancor peggio per il termine “attuale” che introduce un vincolo temporale forte (“durante tutto l’atto”). Tale formulazione implica che il consenso non può essere dato una volta sola e poi considerato valido per tutto il rapporto, ben potendo una parte revocarlo “in corso d’opera”. In tal caso, questo potrebbe complicare molto la prova della sussistenza o meno del consenso. Ciò in quanto, astrattamente, occorrebbe valutare quale fosse l’intenzione in ogni momento dell’atto, e se la revoca sia effettivamente avvenuta (e con quale modalità: verbale, gestuale, silenziosa?).

Insomma, una sorta di “moviola” dell’atto sessuale per determinare la sussistenza del consenso in ogni “frammento”. il che dà origine a un absurdum evidente.

La questione è tutt’altro che marginale o comica e, al contrario, le ambiguità di fondo che si celano in questi due termini apparentemente oggettivi (ma che oggettivi non sono) ha effetti devastanti sul concreto operare dell’onere della prova in giudizio.

La qualificazione del reato che si incentra non tanto sulla condotta quanto sull’elemento consensualistico, può cambiare il baricentro del processo: come citato da alcune analisi, la persona accusata potrebbe dover dimostrare che c’era consenso da parte della vittima.

Entusiasticamente, infatti, il Corriere della Sera qualche giorno fa affermava che “quello che conta è il consenso … e sarà la persona accusata che dovrà provare che a quel rapporto c’era consenso.” Se questo fosse confermato, saremmo in presenza della violazione patente del principio dell’onere della prova che, secondo il nostro ordinamento, grava sull’accusa, non certo sulla difesa in considerazione della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.

A voler tacere del fatto che, visto il contesto particolare – intimità sessuale – si tratterebbe di una “probatio diabolica”. Infatti, come potrebbe mai fare l’accusato a dar prova di cosa vi fosse nella mente della presunta vittima, instante per istante, senza un esplicito NO?

Altro elemento che discende dall’emendamento approvato è quello della valutazione del contesto in cui avviene la presunta violenza con particolare riferimento alla vulnerabilità della vittima che costituirebbe ove accertata un parametro per considerare l’atto sessuale alla stregua di violenza sessuale.

Anche in questo caso, dietro un intento nobile, si celano trappole pericolose.

La vulnerabilità è un concetto estremamemnte ampio, di natura prevalentemente soggettiva (psicologica, economica, affettiva). Servirà dunque che la legge definisca bene cosa si intende per vulnerabilità, altrimenti il rischio è che tale elemento diventi un concetto troppo elastico o, al contrario, troppo restrittivo.
In fase applicativa, il contesto (situazione di coppia stabile, ricatto economico, dipendenza affettiva, consumo di alcol/droghe, minore età) dovrà essere dimostrato puntualmente, così come dovrà essere dimostrato il nesso eziologico tra contesto, privazione della volontà della vittima e condotta.

È lecito supporre che le prove sulla “condizione di vulnerabilità” saranno spesso complesse e difficilmente sorrette da quella assolutezza che invece si pretende ai fini processuali.
Il concetto di attualità del consenso reca poi con sè la possibilità di revoca. E questo forse è l’elemento più controverso

L’emendamento, infatti, menziona espressamente il diritto a revocare il consenso “in ogni momento”, ma non definisce modalità o limiti. La persona che revoca deve manifestare la relativa intenzione in modo espresso? Basta un gesto non verbale?

Quali standard adotterà la giurisprudenza per capire quando una revoca sia effettiva?

Potrebbero sorgere controversie su “quando” il consenso è revocato e su chi ha la responsabilità di interrompere l’atto sessuale. Questo tema è delicato perché riguarda non solo la colpa penale, ma anche aspetti fattuali molto intimi e di difficile caratterizzazione giuridica e anche in questo caso, potrebbero generarsi effetti distorsivi sulla effettiva condotta del soggetto.

Mai sopita, inoltre, è poi la questione circa la vaghezza del concetto di “atto sessuale”, vizio che l’art. 609 bis c.p. porta con sé fin dalla sua formulazione. Anche un bacio sulla guancia è stato fatto passare per atto sessuale, tanto per fare un esempio

E, quindi, al di là delle condotte palesemente aggressive caratterizzate da una evidente matrice sessuale (penetrazione senza volontà della donna ad esempio), l’alea implicito nei concetti di libertà e attualità del consenso si estenderebbe, per effetto dell’emendamento in questione, a una serie di condotte che pur essendo invasive, persino caratterizzabili come “molestia sessuale”, non rientrano nella fattispecie di violenza sessuale “tout court”.

A meno di non voler estendere senza limite i confini della fattispecie criminosa con palesi dubbi circa la tassatività della condotta. Anche in questo caso, sebbene sarà demandata alla magistratura ogni valutazione sul caso concreto, il vulnus giuridico è più che evidente e persino aggravato dall’emendamento in questione

Dal punto di vista politico la convergenza sul punto tra PD e FDI potrebbe aprire la strada a un “cambio di paradigma culturale”, come peraltro affermato dalla deputata Di Biase (Pd). Ma siamo sicuri che sia giusto parlare di paradigma culturale quando si tratta di questioni attinenti al processo penale?

Vista l’incertezza interpretativa che abbiamo cercato di sintetizzare sopra, i pregiudizi che potrebbero derivare in termini di certezza del diritto non parebbero bilanciati da reali benefici per la vittima di violenze sessuali.

Ne resta pertanto una bandierina ideologica che potranno aver valore simbolico ma recare più danni che vantaggi in termini di applicazione

Anzi, data l’indeterminatezza della fattispecie e l’aleatorietà dei concetti di libertà e attualità del consenso si intravedono i rischi di possibili abusi o accuse false da cui – stante la sopra menzionata inversione (di fatto) dell’onere della prova – bisogna guardarsi attentamente. Proprio il tema delle false accuse è elemento che qualifica un problema davvero rilevante sopratuttto parlando di “rapporti umani”, affettività, o sessualità.

Volendo tracciare un bilancio, scevro dagli entusiasmi ideologici, sicuramente l’emendamento rappresenta un passo significativo verso una visione più moderna della violenza sessuale che si sganci dal paradigma della mera costrizione fisica e altrettanto significativamente contribuisce all’autonomia delle persone sul proprio corpo

D’altra parte, l’utilizzo esclusivo del parametro consensualistico per valutare la condotta, determina un allargamento delle fattispecie punibili del tutto indeterminato, costringendo in sede processuale, l’imputato – magari innocente – a dar prova di qualcosa impossibile da provare. La mancanza poi di una disciplina in materia di “errore sul consenso” lascia aperta la strada alla punibilità penale anche quando la condotta è frutto non di una volontà predatoria ma di un semplice errore su un elemento soggettivo e scivoloso come il parametro psicologico del consenso stesso.

Che succede se, in un contesto intimo, l’autore del fatto confonde le intenzioni della vittima che non si manifestino esplicitamente?

In mancanza di regole specifiche, da questo punto di vista, si apre la porta a possibili abusi

Quel che rimane certo – come faceva notare la giurista Ilaria Merenda su Il Foglio – è che l’unica cosa che si rafforzerà sarà la discrezionalità della magistratura che rimarrà arbitra inconstratata della valutazione della ricorrenza di ogni parametro di legge – per lo più soggettivo – in modo del tutto sganciato da ogni criterio interpretativo reale.

Stupisce che su questo terreno così scivoloso, la destra si sia lasciata avviluppare da una narrazione tipica della sinistra e non scevra da rischi .

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Tags: DONNEGiurisprudenzaIN EVIDENZASTUPROVIOLENZA SESSUALE
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