Claretta : la sua unica colpa è di aver amato un uomo

La sua unica colpa è di aver amato un uomo.

Oggi, 25 aprile 2023, ricorre un anniversario che, tanto a sinistra quanto a destra, deve essere ricordato come pietra miliare della nuova Italia.

Un momento che non può essere messo in discussione nei suoi valori di riferimento. Che divide solo quando se ne vuol fare una bandiera di parte. Quando si vuole continuare su altro piano una guerra civile mai sopita, contro il volere di quegli stessi partigiani che vollero una amnistia di carattere generale riabbracciando, sotto la bandiera di un’Italia democratica, coloro che si erano contrapposti.
La democrazia o abbraccia tutti, o non può definirsi democrazia.

Non lo comprende chi invece ancora oggi pretende di aizzare, per creare un tornaconto politico. Ben lontano dalla grandezza di Bettino Craxi che ammetteva, di portare dei fiori sulle tombe dei vinti. Di Sandro Pertini, che con queste parole emise una sentenza inappellabile nei confronti dell’omicidio della Petacci: «La sua unica colpa è di aver amato un uomo».

Proprio la Petacci mi ispira una storia. Una storia semplice, accaduta a me da ragazzo, con uno zio di mio padre che aveva visto a sua volta suo padre morire a Mauthausen e suo fratello ucciso per strada, durante la guerra.

Questo padre aveva lasciato sette figli, per lo più piccoli. Tutti sulle spalle del figlio appena diciottenne, anche lui rastrellato, che trascorse in gran parte in prigione. Questo mio zio, al tempo, aveva soltanto 13 anni e si arrangiava un po’ come tutti per portare un po’ di cibo a casa per fratelli e sorelle e per la madre, in attesa dell’ultima sorellina, venuta al mondo qualche mese dopo la morte del padre.

Questo mio zio odiava Mussolini. Così tanto da avere scatti d’ira violenti quando lo sentiva nominare. Esattamente come odiava il fascismo. Nessuno avrebbe potuto chiedergli di nutrire sentimenti diversi nei confronti di quel regime che così tanto amore aveva strappato alla sua famiglia.

Una passeggiata

Camminavamo per il cimitero del Verano a Roma. Portavamo dei fiori, non ricordo a quale parente o amico di famiglia. Ero un bambino di non più di dieci anni.
Ad un certo punto ci trovammo di fronte ad una statua di donna. Una statua indubbiamente grande, che per un bambino appariva gigante.
Le braccia abbassate, la postura che sembrava impersonare la tragicità della sua storia.

Claretta il nome sulla lapide.

Mio zio si fermò dinanzi la tomba, silente e raccolto. Per un tempo che a me sembrò lunghissimo, rotto ad un certo punto dal suo gesto di prendere alcuni fiori dal mazzo di gigli, per deporli ai piedi della tomba.

– “Zio chi è questa signora?”, gli chiesi con l’innocenza di un bambino.
– “Il suo uomo era un dittatore. Per colpa sua hanno ammazzato mio fratello. Per colpa sua è morto mio padre. E poi un giorno li hanno presi e li hanno uccisi entrambi, lei e il suo uomo”, disse.

Ricordo ancora oggi lo stupore di me bambino. Non capivo perché volesse lasciare un fiore a una donna sconosciuta. Del resto ero poco più di un bambino che ancora vedeva il mondo in funzione degli adulti, a tratti in bianco e nero. Lei era legata a quel “dittatore” cje così tanto male aveva fatto alla nostra famiglia, la conseguenza è che mio zio dovesse odiarla.

– “Zio allora perché le regali un fiore?”, chiesi.
– “Perché lei non c’entrava niente”.

Quel giorno capii qualcosa di fondamentale. Una di quelle monumentali lezioni di dignità, di umanità e rispetto che si riescono a carpire tra le righe, attraverso gli anni e che sono capaci di guidare l’operato degli uomini attraverso le epoche. Anche se nessuno scriverà mai di loro alcuna storia…

La lezione che mi ha dato mio zio la custodirò a vita. Quella donna non c’entrava nulla con la guerra, con l’odio e col dolore provato da lui come da tanti italiani e italiane nei confronti dell’uomo che amava.

Aveva una pietà umana profonda, mio zio. Anche se la vita lo aveva condannato a dolori atroci, ingiusti.
Mio zio ha avuto una bottega tutta la vita. Fu un artigiano e un pensionato onesto e discreto. Non ebbe mai velleità politiche, non pubblicizzò mai la propria storia, nessuno ha scritto un libro su di lui.
Ma probabilmente tanti di quei politici che ancora oggi pretendoni di alzare una bandiera di parte in questo giorno, dovrebbero imparare da lui, da questo suo gesto di dignità, il valore di questa ricorrenza.

La poesia

A Claretta, alle tante donne che ingiustamente hanno pagato un prezzo carissimo durante la lotta di liberazione dell’Italia dedico questi versi dell’amica e collega Carlotta Andrea Buracchi Bresciani, composti in questi giorni e dedicati proprio all’amore di una donna, che non aveva alcuna colpa se non quella di amare follemente l’uomo sbagliato e di desiderare, con lui, la libertà dell’amore.

L’unica colpa che ho avuto
è stata quella di amare.
Si dirà ‘l’uomo sbagliato’
ma l’uomo che amavo.

Sono stata catturata mentre correvo da lui,
per vederlo per sempre, o per l’ultima volta.
Ma invece di un processo, come nella democrazia che molti dicevano di amare
sono stata uccisa, esposta a pubblico ludibrio.
Fu l’intervento di Piera a restituire al mio corpo un po’ di dignità.

Io amavo un uomo. Un nemico di tanti. Nemico dell’Italia e del suo popolo.
Lo amavo consapevole di chi fosse, con la colpa che l’amore totalizzante porta inevitabilmente con se.
Quella di non vedere con gli occhi ma solo col cuore.
E sono morta con lui. Per lui.
Ma meritavo giustizia.
Quella che si lamentava da lui.

Forse anche io sono morta per la libertà.
La libertà del mio amore.

Ma si sappia
da sempre e per sempre
che nessuna vittoria si consuma senza qualche vergogna
e che nessun onore meritano coloro che agiscono al pari dei propri nemici.

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