Chissà cosa farà il Campo Largo
Oggi arriva un secondo, importante banco di prova per la cosiddetta “grande coalizione”. Sarà una gioiosa macchina da guerra o una nuova Armata Brancaleone? Elly Schlein deve dimostrare che tutto questo progetto, questo spostamento del Partito Democratico verso una sinistra più radicale e movimentista, abbia davvero un senso.
Non è stato solo un cambio di rotta: è stato un abbandono della tradizionale visione “di palazzo” del PD, quella più affarista, governativa, centrista, che con l’ala riformista ha comunque permesso al partito di restare quasi costantemente al governo per più di un decennio, pur senza mai vincere realmente le elezioni
Ora si tenta un’alleanza più spinta a sinistra, con l’idea di includere forze radicali e movimentiste, che però spesso spaventano l’elettorato moderato. Paradossalmente, i riformisti — quelli che una volta dominavano — oggi si accontentano di starci, purché si mantenga l’obiettivo del governo. Ma la domanda cruciale è: questo Campo Largo è davvero in grado di cambiare qualcosa?
Giorgia Meloni è saldamente a Palazzo Chigi, e tanto gli analisti di destra quanto quelli di sinistra sembrano concordi: se si votasse oggi, vincerebbe ancora, e con più forza. Le elezioni regionali rappresentano quindi un test fondamentale. Anzi, si può dire che la prima prova cruciale sia già fallita.
Sono sei le regioni coinvolte in questo turno elettorale. La Valle d’Aosta è un caso a sé: il sistema proporzionale e la forza dei partiti autonomisti annullano lo scontro tra blocchi nazionali. Ma le altre regioni raccontano una storia diversa: Calabria, Marche e Veneto sono oggi governate dal centrodestra; Puglia, Campania e Toscana dal centrosinistra
Una coalizione così ampia e articolata, come quella del Campo Largo, avrebbe senso solo se riuscisse a strappare almeno una regione alla destra. Un pareggio, cioè mantenere lo status quo, equivarrebbe a una sconfitta per chi parla di rimonta. Conservare le regioni già in mano, ma senza vincere nulla, significherebbe restare comunque all’opposizione a livello nazionale.
Le Marche rappresentavano una prova cruciale: la sconfitta non è stata di misura. Ricci avrebbe dovuto vincere, o almeno perdere di poco, e invece ha perso nettamente. In Veneto, non c’è partita. E oggi si vota in Calabria.
A questo punto si può già dire che, se oggi verrà confermata la vittoria di Occhiuto, il centrosinistra ha perso questo giro. Al centrodestra basterà vincere una sola delle tre regioni contese per trasformare il risultato in una disfatta per il Campo Largo. Alla sinistra, invece, basterebbe perdere in Calabria per dimostrare che, nonostante la retorica e le alleanze, non sta cambiando nulla. Giorgia Meloni resterebbe, in quel caso, la leader saldamente confermata del Paese. E il Campo Largo apparirebbe come un esercito di carri armati di cartone.
Questo scenario preoccupa anche un nome come Eugenio Giani, che pure si atteggia a vincitore certo in Toscana. Eppure la situazione è più complessa. Giani non è un movimentista, e buona parte dell’elettorato del Movimento 5 Stelle non è incline a “turarsi il naso” per votarlo. Ci sono questioni locali spinose, come quella dell’aeroporto di Firenze, voluto da molti cittadini ma osteggiato da una parte consistente della sua maggioranza
C’è poi la gestione di Firenze, ritenuta fallimentare da molti. Il sindaco o la sindaca (a seconda di chi succederà) è percepito come debole, inefficace, e per molti versi invisibile. A Prato, il centrosinistra ha fatto addirittura cadere l’amministrazione prima delle regionali, con in mezzo vicende giudiziarie imbarazzanti. E proprio Prato e Firenze rappresentano due roccaforti fondamentali del potere demografico del PD in Toscana.
Dunque, vediamo oggi come andrà la Calabria. Perché — piaccia o no — l’italiano medio è facilmente influenzabile, e il toscano è, da sempre, “l’italiano tra gli italiani”
Due sconfitte nette potrebbero cambiare molto anche in Toscana. Non certo in meglio, per un governatore debole alla guida di una maggioranza già disomogenea.
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