Chiara Ferragni marchio a bassa redditività. Solo campagna d’immagine?

Quando vale il marchio di Chiara Ferragni? Il Sole 24 Ore ha provato a fare i conti in tasca alla fashion blogger più famosa d’Italia. Secondo la perizia redatta dal commercialista di Milano Maurizio Dattilo, incaricato dal socio e primo finanziatore di Ferragni Paolo Barletta, Serendipity varrebbe 36,2 milioni di euro. Si tratta della società in cui è custodita la proprietà del marchio Chiara Ferragni, della quale Barletta, attraverso la finanziaria Alchimia, possiede il 40 per cento, seguito dalla blogger con il 32,5 e da altri due azionisti con il 13,75 per cento ciascuno.

Gli altri due azionisti sono Riccardo Pozzoli, ex fidanzato di Chiara, e Mofra Shoes, azienda pugliese della famiglia Morgese che realizza scarpe e accessori venduti in una quarantina di negozi in Cina. Il nome-brand dell’imprenditrice è l’unica proprietà di Serendipity: attualmente utilizzato su licenza per i prodotti realizzati da Mofra Shoes.

Ma Chiara Ferragni è anche azionista di maggioranza di Tbs Crew che la vede nel capitale al 55 per cento (il restante 45 è ancora di Pozzoli). In questo caso gli ultimi numeri disponibili sono relativi al 2016 e mostrano una forte crescita dei ricavi delle vendite di e-commerce grazie al sito di proprietà The Blonde Salad, a quasi 3,3 milioni, ma con un utile finale di seimila euro.

Come spiegava Carlo Festa sul Sole 24 Ore nel dicembre scorso, però, Tbs Crew ha anche debiti in scadenza per 983mila euro, “quindi la redditività delle due società è assai bassa. (…) Tra le partecipazioni della camera di commercio, facenti capo a Chiara Ferragni come persona fisica, non c’è invece traccia del fatturato della Chiara Ferragni Collection, cioè il marchio di moda che fa capo alla blogger. Quindi non sono verificabili i 20 milioni di fatturato che, secondo alcuni media, dovrebbe generare il marchio. (…) La Tbs Crew fa 3 milioni di fatturato come potrebbe capitare a una qualsiasi azienda di Carugate attiva nelle valvole meccaniche o a una piccola azienda tessile di Prato. Resta dunque l’impressione che le copertine ad effetto non siano altro che frutto di una campagna di comunicazione studiata da esperti d’immagine”.

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