Charlotte, la morte di Iryna Zarutska e il silenzio che fa rumore
Aveva solo 23 anni Iryna Zarutska, era fuggita dall’Ucraina in cerca di una vita nuova, lontano dalle bombe e dalla devastazione della guerra.
Aveva trovato rifugio negli Stati Uniti, a Charlotte, North Carolina
Ma proprio lì, su un treno della metropolitana leggera, ha incontrato la morte in una scena tanto atroce quanto assurda. A colpirla è stato Decarlos Brown Jr., un uomo afroamericano di 34 anni, senzatetto con numerosi precedenti e problemi mentali.
La ragazza era seduta, tranquilla, quando l’uomo ha estratto un coltello e l’ha colpita brutalmente senza alcun motivo apparente. Il gesto non è stato preceduto da alcuno scambio di parole
L’aggressore ha infierito e poi ha camminato nel vagone col coltello ancora insanguinato in mano. Le immagini del video diffuso hanno scioccato l’opinione pubblica.
Il caso ha avuto una risonanza immediata, soprattutto negli Stati Uniti. Il governatore della North Carolina ha definito l’accaduto “una tragedia inaccettabile”.
L’ex presidente Donald Trump ha parlato apertamente di fallimento della giustizia democratica. Ha chiesto che il crimine venga perseguito a livello federale ed ha auspicato l’applicazione della pena capitale.
Non è una richiesta priva di implicazioni: nel sistema americano, un reato federale può effettivamente portare alla pena di morte, anche se, nello Stato della North Carolina, la situazione è molto più complicata.
Nonostante la pena capitale sia formalmente in vigore, da quasi vent’anni non viene eseguita una sola sentenza
Un groviglio di dispute legali sui protocolli di esecuzione, iniezione letale e diritti dei condannati, ha di fatto bloccato ogni applicazione.
Eppure, vedere quelle immagini, sentire la storia di Iryna, fa sorgere interrogativi profondi. Fa vacillare persino le convinzioni più garantiste. Perché davanti all’assurdità di un omicidio così brutale, è difficile provare pietà per il carnefice.
Piuttosto, ci si interroga se davvero una giustizia che non riesce a reprimere, possa definirsi giustizia. La prevenzione è sempre preferibile, ma senza un apparato repressivo efficace, anche la riabilitazione fallisce.
E così, in assenza di una giustizia che difende, si rischia di favorire derive pericolose, come la giustizia “fai da te” o l’organizzazione spontanea di gruppi di autodifesa nelle periferie più abbandonate.
Iryna era una ragazza piena di speranza
Aveva lasciato la sua terra per costruire qualcosa di nuovo, sognava di lavorare con gli animali, di diventare assistente veterinaria. Amava l’arte, era una giovane donna come tante, con una vita davanti. Invece ha trovato la morte in un paese che prometteva libertà e sicurezza.
A rendere questa vicenda ancora più amara è il silenzio assordante che l’ha avvolta. Una parte della stampa occidentale ha preferito non dare troppo risalto al caso. Per alcuni osservatori, questo silenzio non è casuale.
Francesco Totolo, giornalista e autrice da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne, ha scritto sul suo profilo: “Ormai è chiaro. Il becero antirazzismo oscura la violenza contro le donne: le vite dei neri valgono di più di quelle delle donne bianche. Nessun articolo sui giornali cartacei italiani riguardante l’omicidio della 23enne Iryna Zarutska.”
Parole forti, ma che fanno riflettere
Quando la vittima è bianca e l’aggressore appartiene a una minoranza etnica, il discorso pubblico sembra frenarsi, impaurito, bloccato da un’ideologia che teme di essere accusata di razzismo anche solo raccontando i fatti. E così, il dibattito si fa distorto, e le vittime scompaiono.
Non si tratta di fare propaganda, né di cercare vendetta
Ma di riconoscere che la giustizia deve difendere i più deboli. E Iryna era una giovane donna sola, che si fidava di un sistema che avrebbe dovuto proteggerla. La sua morte è la sconfitta di quel sistema. E il silenzio che l’ha seguita è il segnale più inquietante.
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