Charlie Kirk e il dovere di difendere chi non la pensa come noi
L’aggressione violenta contro Charlie Kirk, indipendentemente da ogni valutazione politica o personale, è un fatto che chiunque abbia a cuore la democrazia e il rispetto dei diritti civili deve condannare con forza e senza ambiguità. Nessuna idea – neanche la più controversa – può mai giustificare la violenza contro chi la esprime.
Non è accettabile che in una società libera si tenti di mettere a tacere con il sangue ciò che non si riesce a contestare con le parole. Le idee non muoiono, e gli uomini che le difendono – nel bene o nel male – non meritano mai il piombo, il coltello, il linciaggio mediatico o il silenzio complice
Charlie Kirk non può essere trattato come un martire di “serie B”, solo perché le sue idee non piacciono all’egemonia culturale dominante. Le vittime sono tutte uguali.
Chi professa opinioni sgradite non è meno umano, meno degno di compassione, o meno degno di giustizia
Proprio perché siamo tutti membri della stessa famiglia umana, non possiamo accettare la logica perversa secondo cui alcune vite contano meno. Alcuni morti fanno più rumore, altri meno. E questo non è un problema di sensibilità: è un problema di coscienza.
La mano dell’aggressore, come spesso accade, è armata da una ideologia. Da un’idea tossica di superiorità morale, di legittimazione della violenza contro chi viene “scomunicato” dal pensiero dominante.
Una dinamica già vista, tristemente nota. Si pensi al caso di Lando Conti, sindaco fiorentino ucciso dalle Brigate Rosse
Ci vollero anni per poter dire apertamente da chi fosse stato assassinato. Per anni si trattò quell’omicidio con pudore, con un’ombra di giustificazione ideologica. Perché, in fondo, qualcuno riteneva che fosse stato un “errore” da parte di chi però, magari, era “dalla parte giusta della Storia”.
Allo stesso modo, non si è potuto parlare delle foibe per decenni. Come se il dolore fosse un privilegio e non un diritto. Come se il lutto avesse un’etichetta ideologica da rispettare.
Ci sono stati tempi – molto più civili – in cui anche le divisioni più radicali lasciavano spazio all’umanità
Come quando Shirley Chisholm, prima donna afroamericana candidata alla Casa Bianca, scelse di visitare il governatore segregazionista George Wallace dopo che fu vittima di un attentato. I suoi sostenitori la criticarono duramente, e lei rispose: “Che cristiana sarei stata, se non lo avessi fatto?”
Oggi viviamo in una società in cui la reazione all’omicidio o alla violenza dipende spesso dal colore della pelle dell’aggressore, o dall’orientamento politico della vittima.
Una ragazza ucraina, fuggita dalla guerra, è stata accoltellata su un treno negli Stati Uniti da un afroamericano
Eppure, su quell’omicidio, è calato un inquietante silenzio. Perché chi racconta certe verità scomode viene accusato di razzismo, mentre è profondamente razzista proprio chi divide le vittime e i carnefici in categorie morali a seconda dell’identità e non dei fatti.
Condannare la violenza sempre, senza eccezioni, è il fondamento di ogni democrazia liberale. Non è una concessione: è un dovere morale.
Non ho mai condiviso le idee di Charlie Kirk, così come non ho mai condiviso la satira volgare, spesso crudele, di Charlie Hebdo.
Ma non per questo potrei mai giustificare una strage, un’aggressione, un attentato
Perché, come recita la celebre frase attribuita a Voltaire:
“Non condivido quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo.”
O siamo fedeli a questo principio, o rinunciamo a definirci liberi.
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