Charles Manson, la Family e la “strage di Cielo Drive”: il 9 agosto 1969 l’America cambia per sempre (VIDEO)

9 agosto 1969, «strage di Cielo Drive», l’America non sarà più la stessa. Charles Manson e i suoi seguaci danno sfogo alla loro follia omicida nella zona residenziale sulle colline tra Beverly Hills e Bel Air. Trovano la morte la moglie del regista Roman Polanski, Sharon Tate, incinta all’ ottavo mese, e quattro suoi amici (pare che quella sera ci dovesse esserci perfino il regista Sergio Leone, che si trovava in America per scegliere i costumi per il suo film Giù la testa!, uscito poi nel 1971, ma il nostro si addormentò in albergo per il caldo).

La “strage di Cielo Drive” segna un punto di svolta, rimanendo sedimentata nella memoria collettiva non solo dell’opinione pubblica statunitense. Da oltre cinquant’anni. Negli USA le stragi e i serial killer non sono certo mancati, ma il caso di Manson non verrà più dimenticato: perché?

Da una parte c’è un gruppo di scappati di casa (uomini, ma soprattutto donne) suggestionato da Manson, uno spiantato che voleva diventare una rockstar, e che aveva un’ indubbia qualità: saper sfruttare le debolezze altrui, arrivando a esercitare un controllo che non passava attraverso la droga, quanto piuttosto attraverso il sesso (“Fai l’ amore con il tuo paparino, baby”).

Dall’altra c’è il jet set hollywoodiano, i «ricchi e famosi» che di colpo si sentono vulnerabili fin dentro le loro case. In altri termini, e più grossolanamente: se a morire fossero stati cinque messicani, in quell’ afoso inizio di agosto, non sarebbe importato nulla ad alcuno. 

 

Il massacro fece da detonatore alla psicosi, tale da spingere alcune star a presenziare alle esequie delle vittime con tanto di guardie del corpo, come Steve McQueen. Amici di Polanski – gli attori Peter Sellers, Yul Brynner, Warren Beatty – offrirono perfino una ricompensa a chi avesse fornito notizie utili, mettendo una taglia sui killer, manco si fosse tornati ai tempi del Far West.

Insomma, se a finire fatti a pezzi non fossero stati componenti dell’élite – e di quella più vista degli appartenenti allo show business – e se al tempo stesso gli autori non fossero stati balordi in cerca di un omicidio «clamoroso» (in grado di scatenare un conflitto etnico tra bianchi e neri, che dovevano essere incolpati dei fatti, vinto dai neri su cui però poi avrebbe governato la «Famiglia» di Manson), non saremmo qui per questo amarcord.

Invece grazie a quel pluriomocidio, l’establishment regolò anche i conti con la controcultura hippie, i figli dei fiori, i pacifisti che si erano opposti alla guerra nel Vietnam

Manson e i suoi furono condannati a finire sulla sedia elettrica (anche se Manson risultò essere presente solo sulla scena del successivo delitto LaBianca), ma poi la California abolì la pena di morte, e quindi si ritrovarono tutti all’ergastolo. Lui ci mise del suo, trasformando il processo in una sua personale performance, in cui si presentava alternativamente come la reincarnazione di Satana o di Gesù Cristo, e guadagnandosi una fama imperitura.

Il resto è frutto della mitologia pop. Manson su tazze e magliette vendute su Amazon, come il divo rock che avrebbe voluto essere. Il suo cognome che viene adottato da un cantante, Brian Hugh Warner, che si ribattezza Marilyn Manson per omaggiare quelle che evidentemente ritiene due icone della storia a stelle e strisce: l’attrice Marilyn Monroe e l’ incarnazione del Male Assoluto.

Manson è morto in galera nel novembre 2017. Così come probabilmente succederà a Leslie Van Houten, che aveva 19 anni quando pugnalò per 14 volte la signora LaBianca (non era invece nella villa di Cielo Drive), e che, condannata definitivamente all’ergastolo nel 1978, ha da allora chiesto per 22 volte la libertà vigilata. Senza mai ottenerla.

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