C’era una volta Fiorenza…

La motonave "Fiorenza" in navigazione sull'Arno.

La motonave "Fiorenza" in navigazione sull'Arno, in corrispondenza del Lungarno delle Grazie. Sullo sfondo si vede la Pescaia di San Niccolò.

La navigazione in Arno e la motonave “Fiorenza”.

“C’era una volta Fiorenza…”. Potrebbe iniziare così una storia narrata ai nipoti da un vecchio nonno fiorentino, non una fiaba ma una storia vera poco conosciuta di una nave vera che navigava sull’Arno.

Un argomento rispolverato con cadenza decennale – magari dopo una piena o all’opposto dopo un periodo di siccità – da qualche giornale per scrivere con superficialità in un trafiletto che “…una volta era diverso…“.

Per conoscere e comprendere la storia di Fiorenza – anche quella della città di cui la nave porta il nome – dobbiamo partire dal contesto storico e ambientale e dai luoghi in cui nacque e condusse la sua breve esistenza, fino al suo tragico epilogo.

La navigazione interna.

I maggiori fiumi italiani un tempo erano navigabili. Oggi non lo sono più o per meglio dire non sono più considerati tali. Non solo per i cambiamenti climatici che si sono succeduti nel tempo: è il concetto stesso di navigazione interna che è cambiato, per la tipologia, l’utilizzo e le dimensioni delle imbarcazioni che una volta venivano considerate o definite navi. Anche l’intervento umano nel corso dei secoli ha modificando i corsi d’acqua e l’ambiente circostante con opere che hanno alterato il regime di molti bacini fluviali.

Le attività economiche si sono sempre più allontanate dalle sponde dei fiumi che attraversano molte importanti città, e mano a mano che mulini e opifici sostituivano la forza motrice dell’acqua con il vapore, anche le vie d’acqua perdevano importanza per il trasporto delle merci e di conseguenza delle persone.

Il fiume Arno e la città di Firenze rappresentano un caso emblematico.

La navigazione in Arno

La navigazione sull’Arno si è svolta con continuità forse anche prima dell’epoca romana, le imbarcazioni, almeno nelle stagioni favorevoli, si inoltravano anche negli affluenti. La stessa origine del capoluogo toscano è legata al fiume e al porto della colonia romana di Florentia 1. Nella zona tra via de’ Neri e piazza Mentana era situato il porto romano 2, dove lo “Scalo de’ Foderi” nel Medioevo accoglieva il legname che per fluitazione arrivava dalle foreste del Casentino e dal Monte Falterona.

Che le esigenze della regolarizzazione di un fiume e quelle dello sfruttamento della sua energia idraulica mal si accordino lo si è capito da tempo. Perfino Teodorico 3 con un editto aveva proibito la costruzione nell’alveo dell’Arno di dighe e sbarramenti che ne ostacolassero la navigabilità.

Gli steccati medioevali, sbarramenti in pali di legno creati per diminuire la velocità delle acque per agevolare la pesca e alimentare le gualchiere 4 ed i mulini ad acqua – il cui ricordo è rimasto nella toponomastica – furono sostituiti da traverse in pietra per esigenze difensive.

Due le traverse nel tratto fiorentino: a monte la Pescaia di San Niccolò fiancheggiata da due torri a continuazione ideale della cinta muraria e a valle la Pescaia di Santa Rosa, sempre sull’antico perimetro cittadino.

Vanvitelli (Gaspar Van Wittel), 1694. “Veduta di Firenze dal Pignone”.

Il compromesso di costruire delle vasche di passaggio con chiuse, i cosiddetti calloni, di dimensioni tali da consentire il passaggio dei navicelli che trasportavano merci da Firenze a Pisa spingendosi poi fino a Livorno, non servì però a mantenere la navigazione del tratto di fiume all’interno delle mura. Il progressivo innalzamento del fondo (conseguenza di una diminuzione della velocità delle acque) ridusse lo spazio sotto i ponti al punto che già alla fine del ‘700 i navicelli non riuscivano a passare se non con difficoltà. Si rese perciò necessario lo spostamento dello scalo delle merci a valle della Pescaia di Santa Rosa fuori dalle mura, allo scalo di Signa oppure al Porto del Pignone 5 che troviamo ritratto da molti vedutisti tra i quali il più famoso è il Vanvitelli (Gaspar Van Wittel).

Grandi opere ante litteram

La deviazione dell’alveo fluviale o la creazione di vie d’acqua alternative all’Arno sono argomenti antichi come le esondazioni che hanno sempre creato danni ingenti – tutti ricordiamo quella del 1966 – per cui progetti a difesa della città o per garantire la navigabilità del fiume si sono succeduti con la frequenza delle alluvioni.

Leonardo da Vinci, ideatore di una deviazione dell’alveo fluviale, viene spesso citato in maniera erronea come autore di un progetto per contrastare le alluvioni o favorire il trasporto fluviale. In realtà si trattava di un opera strategica pensata per allontanare l’Arno da Pisa che nel 1503 era sotto assedio 6 e di conseguenza la possibilità di ricevere rifornimenti. Ma «il fiume si rise di chi gli volea dar legge» come scrisse uno storico e un’alluvione travolse la diga in costruzione e il progetto, a quel punto diventato troppo costoso, fu abbandonato.

A partire dai tempi di Cosimo I 7, l’aspirazione di Firenze capitale della Toscana di avere uno sbocco al mare, era diventata una necessità più che una fantasia. Infatti è da questo momento che si moltiplicano i progetti per migliorare la navigabilità dell’Arno o per la costruzione di canali alternativi. Solo dopo l’Unità d’Italia prenderanno forma in maniera più concreta i progetti per un possibile collegamento efficiente con il mare, ma si scontreranno con l’inerzia e lo scetticismo della popolazione.

Nel 1903 fu creata una Commissione Reale per la Navigazione Interna, i cui studi servirono cinque anni dopo per un progetto che prendeva in esame la costruzione di un canale laterale all’Arno lungo 56 Km. da Firenze a Pontedera (di cui 5 Km. in galleria) 8. Da Pontedera a Pisa l’Arno era navigabile senza problemi e Pisa era collegata a Livorno e quindi al mare attraverso il Canale dei Navicelli costruito da Cosimo I. Il porto del Pignone a Firenze sarebbe stato collegato alla stazione ferroviaria della Leopolda 9, creando un intelligente sistema di trasporti fluviale-ferroviario integrato .

La navigazione e la ferrovia.

Nel 1844 il Canale dei Navicelli fu di fatto soppiantato dalla ferrovia Pisa-Livorno e nel 1848 fu rapidamente ultimato l’ultimo tratto della linea Pisa-Pontedera-Empoli-Firenze che a breve fu seguita dal collegamento Firenze-Empoli-Siena. Se da una parte questa rete ferroviaria creava nuove prospettive di sviluppo dall’altra provocò un abbandono della manutenzione del fiume e dei canali che subirono interramenti e un vero e proprio degrado.

Il mega-progetto del nuovo canale nasce in un periodo in cui le imbarcazioni in transito tra Pisa e Firenze toccano i quattrocento battelli l’anno ma viene bloccato dallo scoppio della Grande Guerra. Viene ripreso in esame verso la fine del conflitto, quando per esigenze belliche si pensa ad un ampliamento verso la Chiana per facilitare il trasporto della lignite del Valdarno.

A quel punto però è definitivamente tramontata l’epoca dei trasporti fluviali che cedono il passo alla ferrovia, che a sua volta inizia a subire la concorrenza del trasporto su gomma.

Navigando sull’Arno con bibite, cordiali, musica… e zanzare.

L’idea di un battello per passeggeri in navigazione sull’Arno, in questo contesto potrebbe sembrare una scelta nostalgica, ma nasce da un’idea commerciale che si riallaccia ad una consolidata tradizione fiorentina.

All’inizio degli anni ’30 il colonnello Amedeo Sacerdote ritenendo che le serate a Firenze fossero un poco noiose pensò di creare un’attrazione per vivacizzarle. Quindi progettò e finanziò una motonave che fosse in grado di navigare sull’Arno. L’imbarcazione fu ordinata nel 1932 al celebre Cantiere Navale Giuseppe Picchiotti di Limite sull’Arno.

I cantieri di Limite

A Limite sull’Arno, in provincia di Firenze, già nell’ultimo decennio del XIX secolo lavoravano più di un centinaio di maestri d’ascia e carpentieri navali che nei primi anni del ‘900 diedero vita allo sviluppo di una fiorente attività cantieristica navale.

La “Fiorenza” venne costruita nei cantieri Picchiotti, una famiglia la cui attività risale al Rinascimento e il cui nome parrebbe derivato dal soprannome affibbiato loro per il picchiettio continuo provocato dal battere del maglio sulle parelle 10 durante le operazioni di calafataggio degli scafi.
I Cantieri Picchiotti erano uno dei più antichi e rinomati cantieri navali collocati a Limite prima del 1600 e trasferiti poi a Viareggio, da cui sono uscite imbarcazioni di ogni tipo dai velieri ai leggendari MAS 11 sia della prima che della Seconda Guerra Mondiale.

Il montaggio della “Fiorenza” al Lungarno Serristori a Firenze nel 1932, dei maestri e carpentieri dei Cantieri Picchiotti. Questo cantiere costituisce una testimonianza della “itineranza fluviale” dei maestri d’ascia limitesi, che venivano chiamati per lavori di manutenzione, e si estendeva oltre le realtà cantieristiche dell’Arno e del Tirreno, arrivando fino all’Arsenale di Venezia.

“Fiorenza”

Lo scafo dell’imbarcazione lunga 18 metri con un’altezza di 6, aveva un pescaggio modestissimo di poco più di mezzo metro. Dal ponte di coperta si alzava un cassero a prua, mentre sotto il ponte sopraelevato a poppa erano situati i servizi della ristorazione. A bordo della nave esistevano anche degli spazi tipo separé, quasi delle cabine come era in uso in certi locali un poco osé in quegli anni.

La costruzione avvenne nei cantieri con una accurata scelta dei legnami che venivano lavorati, secondo le tecniche costruttive del periodo, con sagome e tracciati a grandezza naturale. Una volta costruita la nave venne smontata pezzo per pezzo e trasportata su camion a Firenze.

Sotto il Lungarno Serristori, nella golena asciutta, in corrispondenza della Biblioteca Nazionale fu approntato un cantiere dove fu realizzato il rimontaggio del battello.
Qualche difficoltà si ebbe per il varo, perché l’Arno era in regime di magra: si dovette procedere ad innalzare il livello dell’acqua costruendo uno sbarramento con sacchi di iuta pieni di sabbia del fiume.

Dopo il varo la “Fiorenza”, come fu battezzata l’imbarcazione, attraversò il Ponte alle Grazie, il Ponte Vecchio e il Ponte a Santa Trinita, e tra quest’ultimo e il Ponte alla Carraia fu ormeggiata ad un imbarcadero, di fronte al Palazzo Corsini.

La nave poteva trasportare oltre 200 passeggeri. A bordo venivano servite bibite ed altri cordiali e un’orchestrina sul ponte di poppa allietava la navigazione. Fu un’iniziativa di grande successo. Almeno all’inizio.

“Raspamota”

La novità venne presto a noia ai fiorentini e dato che la navigazione era forzatamente limitata al tratto di fiume tra le due traverse, risultava alquanto breve, e forse anche per questo fu poco utilizzata dai turisti.

Probabilmente i panorami e la vista dei monumenti ugualmente godibile, con maggiore libertà dai Lungarni o sul fiàcchere 12, non compensava il disagio dei tempi d’imbarco e sbarco dalla motonave.

Bisogna anche considerare che erano tempi in cui si celebrava la velocità e la fluidodinamica e la vista di una nave dal profilo così poco futurista che si muoveva lentamente su un chilometro e mezzo di fiume spandendo fumo doveva condizionare il giudizio dei fiorentini che con lingua mordace, per i vortici di fango sollevati dal fondo dalle eliche del battello, le affibbiarono il soprannome di “Raspamota” 13.

Se i canottieri provavano sentimenti contrastanti per la nave, quelli che sicuramente l’amavano meno erano bagnanti e nuotatori frequentatori del fiume ma soprattutto i renaioli 14 ai quali sicuramente ostacolava il lavoro.

Lo scarso rendimento convinse i proprietari a farne un locale galleggiante, in questo modo almeno si sarebbe risparmiato sul personale e sul carburante. Ma ad apprezzare la scelta di trasformare il battello in caffè-ristorante furono soprattutto le zanzare che a nave ferma avevano il compito facilitato, e alla fine fu deciso di trasferire la Fiorenza e tentare la fortuna sul Po a Torino.

Battello a ruota in Navigazione sul Po, utilizzato per l’Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884.

Torino aveva infatti una navigazione regolarizzata da diverso tempo e il fiume consentiva una navigabilità meno problematica rispetto all’Arno. Già per Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884 era stato appositamente costruito un battello a ruota e durante l’Esposizione Internazionale del 1911 “due eleganti vaporini e numerosi canotti automobili”. – come recita la guida dell’Expo – “solcano il Po, facendo capo a numerosi scali” .

“Vittoria!”

Giunta a Torino in ferrovia e in camion in una serie di “scatole di montaggio” la Fiorenza fu rimontata nel cantiere dei Bagni Lido di Savoia che si trovavano sul Po in prossimità dell’attuale piazza Zara.

La nave venne nuovamente varata nel 1935 e ribattezzata “Vittoria!”.  Per tre anni navigò sul Po torinese, dai Murazzi a Moncalieri, e come sull’Arno a bordo un caffè-ristorante e una orchestrina rendevano più piacevole il viaggio ai circa 200 passeggeri che poteva ospitare. Ma già a partire dal secondo anno la “Vittoria!” viaggiava semivuota.

Nel 1938 motivi economici costrinsero il proprietario, il colonnello Antonio Sacerdote, a interrompere la navigazione e ancora una volta la motonave fu trasformata in locale galleggiante ormeggiato ai Murazzi. 

Ma anche questa attività – la sfortuna di un destino – fu poco remunerativa e il caffè-ristorante venne chiuso, lasciando la nave semi-abbandonata ai Murazzi, dove subì pure l’onta di essere depredata degli arredi e di ogni altra cosa fosse asportabile. Compreso il punto esclamativo: infatti la ritroviamo sulle foto d’epoca con il nome di “Vittoria”.

A questo punto, il proprietario decise di disfarsi della nave e dopo aver smontato e venduto i motori decise di vendere pure lo scafo, che a seguito di alcuni passaggi di mano fu acquistato dall’appaltatore del traghetto di Settimo Torinese che voleva sostituire un vecchio barcone con cui effettuava il servizio tra le due sponde del fiume.

Tra l’ormeggio della “Vittoria” e Settimo però la diga Michelotti impediva la navigazione, allora fu deciso di attendere una piena che alzasse il livello del fiume in modo da consentire alla “Vittoria” di superare in galleggiamento l’ostacolo.

Motonave “Vittoria!” ormeggiata ai Murazzi a Torino nel 1939. In questa foto che la ritrae in disarmo, la vediamo con il nome di “Vittoria” senza l’enfasi del punto esclamativo.

Il salto della diga.

L’attesa durò fino al maggio del 1940 quando dopo un periodo di piogge intense la nave fu pronta a muoversi. Con un piccolo corteo di barche e chiatte e con alcuni barcaioli a bordo fu trainata verso la sua destinazione finale.
Ma fedele al suo soprannome nella vita precedente “Raspamota”, giunta alla diga si arenò. Dopo numerosi ed inutili tentativi ci pensò la corrente a disincagliare la nave, che però a quel punto mentre superava lo sbarramento, cominciò ad imbarcare acqua dagli squarci che si erano aperti arando sulla diga.
Priva di governo fu facile preda della corrente mentre veniva inutilmente inseguita da alcuni barcaioli imbarcati su un altro navicello. Finì per urtare contro i piloni del Ponte Regina Margherita: l’urto violento scaraventò in acqua gli ultimi membri dell’equipaggio che erano ancora a bordo e aprì altre falle che cominciarono a far affondare la nave. Riuscì comunque a percorrere un altro chilometro fino all’altezza di piazza Chiaves prima di immergersi completamente e sparire alla vista.

Maledizione o sfortuna?

La piena del 2016 del Po ha visto l’affondamento di due battelli, “ValentinoII” e “Valentina II”, che hanno rotto gli ormeggi e quello del battello-ristorante “Genna”. Nel ricordo dell’affondamento del “Vittoria!” ex-Fiorenza si è parlato di una sorta di maledizione, ma si tratta di una esagerazione spropositata se si pensa che i due precedenti battelli Valentino e Valentina hanno navigato per anni, resistito a diverse piene e sono andati in disarmo per anzianità.

La navigazione sul Po è un’attività regolare dal 1911. Forse la storia della “Fiorenza” sarebbe stata diversa se – senza tirare in ballo marinai d’acqua dolce – ci fossero stati come protagonisti meno Colonnelli e più Capitani di Vascello15.


Note:

1 Florentia è il nome latino che più tardi diventerà Fiorenza. Nell’attuale area urbana Firenze sono stati ritrovati insediamenti Villanoviani ed Etruschi. L’insediamento, alla confluenza di due degli affluenti dell’Arno, nella posizione che metteva in comunicazione l’Etruria interna e la costa tirrenica con la città etrusca di Fiesole deve essere stato in origine lo scalo fluviale di questa città.

2 Anche se non tutti gli studiosi concordano sulla collocazione in questa posizione del porto romano. In età medievale esistevano diversi porti, alcuni dei quali si sono poi interrati e sono scomparsi.

3 Cassiodoro, “Variae”.

4 Per “gualchiere” si intendono sia gli edifici che le macchine usate in periodo pre-industriale per la lavorazione della lana o della carta.

5 È interessante notare che se si analizzano le vedute di Firenze dal 600 al ‘900 si nota una progressiva diminuzione delle dimensioni delle imbarcazioni e alla fine i tipi più grandi non appaiono più nemmeno nel porto del Pignone. Gaspar Van Wittel (Amersfoort, 1653 – Roma, 1736) pittore olandese naturalizzato italiano conosciuto come Gaspare Vanvitelli, dipinse nel 1694 una veduta di “Firenze dal Porto del Pignone”, che per la presenza di un tempio in realtà inesistente, è stata considerata “ideale” e a torto inattendibile anche per le imbarcazioni raffigurate. 

6 Carlo VIII di Francia (presso il quale si era rifugiato Piero de’ Medici dopo la cacciata da Firenze), aveva invaso l’Italia nel 1494 diretto verso il meridione sul quale vantava diritti di successione. Alla ricerca di alleati aveva aiutato i pisani a sottrarsi al controllo dei fiorentini. Di conseguenza, assieme a Pisa, tutto il contado pisano si ribellò alla Repubblica di Firenze. Seguirono 15 anni di guerra, massacri e assedi, che ebbero fine solo nel 1509 con la capitolazione di Pisa.

7 Cosimo I de’ Medici (Firenze, 1519 – Firenze, 1574) figlio del condottiero Giovanni de’ Medici (detto delle Bande Nere). Fu l’ultimo Duca di Firenze, dal 1537 al 1569 e primo Granduca di Toscana, dal 1569 con l’elevazione del Ducato di Firenze a Granducato di Toscana.

8 Esattamente 45 Km. in sede propria, 5 Km. in galleria, 10 Km. in Arno e 1 Km. nel Bisenzio. Le dighe sarebbero state dotate di conche ispirate a quelle ideate da Leonardo da Vinci e avrebbero consentito il transito di navicelli da 100 tonnellate che sarebbero entrate nel Canale dei Navicelli dalla chiusa di Porta a Mare a Pisa.

9 La Stazione Leopolda fu prima stazione passeggeri, poi scalo merci. Nel 1911 cambiò destinazione come sede di manifestazioni e mostre per l’Esposizione Nazionale concomitante con quella Internazionale di Torino (Expo 1911). Nell’ultimo decennio è tornata periodicamente ad occupare le prime pagine della cronaca per aver ospitato spettacoli e manifestazioni di altro genere. I lavori per l’esposizione del 1911 la resero molto più bella di oggi, avendo la recente ristrutturazione mantenuto l’aspetto dell’edificio industriale bombardato che aveva dal dopoguerra.

10 Il maglio è un martello usato con degli scalpelli senza taglio, appunto le parelle, che servono per inserire la stoppa negli interstizi tra le tavole del fasciame delle imbarcazioni in legno.

11 MAS, Motoscafo Armato Silurante o Motoscafo Anti Sommergibile, a Limite sull’Arno ne vennero costruiti in gran numero, tra cui il MAS N.15 della celebre impresa di Premuda compiuta dal comandante Luigi Rizzo.

12 Fiàcchere: vettura pubblica a cavalli (comune in Toscana derivato dal francese fiacre).

13 “Raspamota” fu anche il nome con cui venne chiamato il battello che nel 1908 fece un viaggio promozionale e dimostrativo da Pisa a Firenze per incoraggiare la realizzazione delle opere idrauliche per la navigazione in Arno.

14 Renai o renaioli, erano quegli operai che, dalla fine del 1800 alla prima metà del ‘900, prelevavano dall’Arno sabbia o ghiaia destinata alle costruzioni. un fiume adoperando appositi barchini.

15 Grado corrispondente in Marina a colonnello dell’esercito.

Exit mobile version