Cecchini per diletto: l’abisso dell’uomo

Cecchini per diletto: l’abisso dell’uomo

C’è qualcosa nell’uomo che spaventa. Nell’uomo inteso come essere umano, nella sua interezza.
Ricordo una conversazione con uno psichiatra, anni fa. Parlavamo di cronaca nera e io, d’istinto, definivo “mostri” i serial killer. Lui mi corresse: “È comodo pensare che il male sia disumano. In realtà, i mostri sono esseri umani. Il male è parte dell’uomo, esattamente come la bontà.”

Quelle parole mi tornarono in mente leggendo la notizia di questi giorni: facoltosi cittadini, anche italiani, che avrebbero pagato per andare a Sarajevo e sparare per divertimento. Cecchini per diletto, pronti a togliere vite come se si trattasse di un gioco. Pare che addirittura fosse considerato “un colpo pregevole” centrare un bambino.
Non riesco neppure a concepire tanta depravazione. Dal profondo del cuore, spero che Dio non abbia alcuna intenzione di perdonare simili gesti.

Mi colpì, tempo fa, anche il caso di quell’adolescente che uccise una donna con cui era uscito. Nei messaggi a un’amica scriveva di averlo fatto per “capire cosa si prova a uccidere”, come se fosse un esperimento, un’esperienza da raccontare.
È lo stesso vuoto che ritroviamo nei giovani che stuprano in gruppo una coetanea, come se vivessero in una realtà virtuale, anestetizzati dalle conseguenze.

E allora mi chiedo: nell’epoca dell’intelligenza artificiale, questo straordinario strumento verrà usato per approfondire la conoscenza, per capire meglio noi stessi? O sarà solo un altro modo per fuggire, per alienarsi ancora di più dallo studio, dal contatto umano, dal mondo reale?

Tutto sembra diventare un gioco. Tutto si consuma nell’edonismo e nella solitudine dell’uomo moderno: una solitudine amorale, non empatica, disanimata.
E in questa prospettiva, ciò che fa più paura non è tanto il male in sé, ma la sua banalità. La naturalezza con cui, ancora una volta, l’uomo riesce a trasformarlo in passatempo.

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