Cattolici e politica: il tesoretto del 14%

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Cattolici e politica: il tesoretto del 14%

Numeri aritmeticamente impietosi quelli sui cattolici in Italia.

Dagli ultimi sondaggi (di Libero poi rilanciati da Il Tempo) il 58% dei nostri connazionali dichiara di sentirsi cattolico (dieci anni fa era il 75%), solo il 20% va a Messa tutte le settimane.

Ma sono altri i dati politicamente sensibili del sondaggio. Nell’analizzare le opzioni di voto dei cattolici si evincono dati interessanti.

Rispetto a dieci anni fa il “voto cattolico” abbandona l’opzione assolutamente prevalente verso “il centro” (passando dal 44% al 14% di oggi). La direzione della diaspora, anche se in parti diseguali, è sia verso destra (+ 7%) che centro-sinistra (+10%), escluso l’estrema. La Lega raccoglie un consenso più ampio del passato, probabilmente per la maggiore e crescente attenzione verso alcuni temi cari all’etica dei cattolici. Da notare che il 14% degli elettori che si muove potenzialmente nell’ottica centrista (Forza Italia, UDC ed altri) non è totalmente da annoverare entro il perimetro della cultura cattolica, visto che la galassia forzista presenta al proprio interno anche ampi riferimenti laico-liberali.

Scarso appeal ha invece l’opzione del M5SS, che non ha mai sfondato per temi e stile nel mondo cattolico.

Ottica bipolare, ragione politica e libertà di coscienza

Il voto dei cattolici risulta molto parcellizzato, anche se non si può parlare di dispersione assoluta. Di sicuro è bi-polare in quanto non circoscrivibile ad un solo ambito. Di fatto, questo impedisce una comune agenda politica dei cattolici, al momento, secondo noi, privi anche di una precisa visione culturale e pre-politica condivisa. Addirittura, se prendiamo in esame alcuni temi etici di frontiera, stiamo attraversando una fase in cui le divisioni sembrano acuite e quasi irricomponibili.

Quali i possibili motivi di questa crescente tensione in seno allo stesso mondo cattolico?

Molto dipende dal confronto elettorale, privo a livello nazionale delle preferenze. Ciò vede il parlamentare sotto tutela di chi lo ha scelto. Nei momenti cruciali il parlamentare cattolico (in particolare quello collocato a sinistra) antepone spesso la “ragione politica” alla libertà di coscienza.

Né Patto Gentiloni né semplice testimonianza di nicchia

A sinistra molto spesso il parlamentare cattolico si muove secondo una logica di

“sovranità limitata” sui temi eticamente sensibili (vita e famiglia) ed invece “libera” su altri come, ad esempio, immigrazione e pace.

Che fare allora? Come cattolici non possiamo accettare né la logica del Patto Gentiloni, per cui il voto dei cattolici andò al liberale Giolitti in cambio della difesa di alcuni specifici valori identitari, né la scorciatoia, suggestiva ma sterile, del piccolo manipolo che vive di pura testimonianza, quasi un diritto di tribuna, ma non incide realmente nella storia politica.

La strada potrebbe, anzi dovrebbe essere un’altra, che, per semplicità, riassumiamo in un decalogo.

Per un decalogo ricostruttivo della presenza unitaria dei cattolici in politica

Primo: non accettare la logica del “cattolico dimezzato”. La presenza dei cattolici rappresenta su ogni tema un “intero”, che vale tutto e sempre.

Secondo: per questo occorre costruire una presenza di sintesi, di visione complessiva, di progetto antropologico, socio-economico e politico.

Terzo: pur accettando una chiara logica alternativa alla sinistra, quindi non legata a scelte ondivaghe ed opportunistiche, è necessario dar vita ad un “bipolarismo mite”, lontano da eccessi e contrapposizioni estreme.

Quarto: per far questo serve autonomia, nella cura contemporanea della cultura della distinzione e delle alleanze.

Quinto: in questo lo stile deve sempre accompagnare i contenuti. Occorre uscire dall’equivoco del moderatismo. Riprendendo senza timore alcuno le parole programmatiche di Kohl, secondo cui dobbiamo essere “progressisti a livello sociale e conservatori in quanto a valori”.

Sesto: di conseguenza a livello economico dobbiamo esigere che il capitalismo viri sempre più verso un approdo personalistico e comunitario, nella convinzione che è il lavoro ad essere per l’uomo e non viceversa.

Settimo: sul tema dei valori antropologici ed etici (prima che religiosi) nessun compromesso è possibile. La verità non si media.

Ottavo: conferma di una scelta strategica “occidentale”, mai però eterodiretta e vassalla. Da integrare e rendere complementare all’ illuminata filosofia mediterranea dei padri democratico-cristiani, nella convinzione che non c’è mai pace senza sviluppo nella giustizia.

Nono: conferma convinta della nostra vocazione europea, interpretata e vissuta dalla parte del “popolarismo”. Da coniugare con la prospettiva di una virtuosa Europa delle Nazioni, cosa ben diversa da quella dei nazionalismi e sovranismi.

Decimo ed ultimo punto del decalogo: per portare avanti questo ambizioso quanto necessario progetto serve un partito (non ci vergogniamo ad usare questo termine) dichiaratamente erede delle radici democatico – cristiane, ben piantate sia in Italia che nel continente; limpidamente ispirato ai valori cristiani, anche se forte di una matura autonomia laicale; non ibridato e quindi depotenziato da generici riferimenti all’area liberal-democratica e conservatrice, con cui occorre trovare delle giuste e non confuse sintesi operative; partito dalle fondamenta basate a tutti i livelli su una “democrazia di popolo”, quindi non su un leaderismo verticistico; autenticamente popolare e non populista, in cui persone e comunità siano il fine e non massa di manovra da considerare come mezzo per il consenso; soprattutto un partito in cui le tentazioni centrifughe siano responsabilmente una buona volta superate in nome di una vincente attrazione centripeta.

Solo allora, anziché guardare quel 14% come un dato potenzialmente frustrante, potremmo considerarlo un primo grande tesoretto da cui ripartire.

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