Capaci, 23 maggio: memoria e impegno contro la mafia
Il 23 maggio 1992, sull’autostrada nei pressi di Capaci, la mafia assassinava il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Una strage che ha segnato un punto di non ritorno nella coscienza civile del nostro Paese.
Falcone non era solo un magistrato, ma un uomo dello Stato che, insieme a Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto, e a tanti altri colleghi e agenti coraggiosi, ha costruito una vera e propria rivoluzione giudiziaria contro Cosa Nostra
Hanno strappato il velo dell’impunità, portando in aula i vertici dell’organizzazione mafiosa, dimostrando che la mafia si può colpire, che si può vincere.
Ma quel lavoro aveva un prezzo. E quel prezzo fu pagato con la vita.
Francesca Morvillo, moglie di Falcone e magistrato lei stessa, rappresenta il volto di tutte le donne e gli uomini delle istituzioni che, pur consapevoli del rischio, hanno scelto di restare accanto alla giustizia
Gli agenti della scorta, eroi silenziosi, hanno compiuto il più alto sacrificio nel nome della sicurezza di un uomo che rappresentava lo Stato nella sua forma più alta: quella del coraggio, della legalità, della dedizione.
Oggi, ricordare Falcone e tutti gli altri significa non fermarsi alla commemorazione, ma trasformare la memoria in impegno concreto. È necessario insegnare ai giovani chi erano questi uomini e queste donne, far capire loro che la lotta alla mafia non è finita, che assume forme nuove, spesso meno evidenti ma non per questo meno pericolose.
Come diceva Carlo Alberto Dalla Chiesa, altro martire dello Stato, “lo Stato ha il dovere di essere l’unico potere legittimo sul territorio”
Eppure, oggi assistiamo con crescente inquietudine a collusioni tra criminalità organizzata, potere politico ed economico. La mafia non è scomparsa: si è fatta più sofisticata, più silenziosa, più inserita nei meccanismi istituzionali e finanziari. Proprio per questo, la lezione di Falcone e Borsellino non può essere archiviata, ma deve essere rilanciata.
Insegnare, spiegare, denunciare. Tenere viva la memoria
Solo così potremo rendere giustizia a chi ha dato la vita per liberare questo Paese dalla schiavitù del terrore mafioso.
Il 23 maggio non sia solo un giorno di dolore, ma un appello all’azione collettiva, alla responsabilità individuale, alla difesa della democrazia. Perché la mafia teme più di tutto cittadini liberi, consapevoli, uniti.
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