Black Lives Matters anche agli Uffizi: reagire o morire

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Black Lives Matters anche agli Uffizi: reagire o morire.

L’attacco globalista legato al Black Lives Matters arriva in uno dei luoghi simbolo della cultura italiana. Oggi, sabato 4 luglio, in occasione dell’anniversario della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, prenderà il via agli Uffizi un evento chiamato “Black Presence”. Si tratta di un appuntamento sviluppato nell’ambito di un’attività di ricerca di eventuali aspetti artistici della “cultura nera” presenti nella collezione del Museo. Innanzitutto una domanda sorge spontanea: se esiste una “cultura nera”, significa che ne esistono anche di “bianche”. Se lo dicono i globalisti va bene, se lo dice un sovranista apriti cielo.

Oltre a questa incoerenza non si capisce per quale oscuro motivo la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti debba essere un evento da celebrare a Firenze. Visto che, giustamente, non si festeggiano ricorrenze di tutte le altre Nazioni. Creare eventi appositi per feste americane, con attività revisioniste della storia dell’arte della penisola italica, fa emergere il cattivo odore dell’imperialismo culturale.

Un cattivo odore che si trasforma in fetore quando, leggendo le rivendicazioni degli organizzatori, si capisce quali sono i reali obiettivi del baraccone.

“Esplorando un gruppo di nove dipinti, in cui gli africani svolgono ruoli di primo piano, il progetto si propone di illustrare e contestualizzare la presenza sociale e culturale del “continente nero” nella mentalità delle persone nell’Europa rinascimentale, testimoniando gli scambi estremamente fertili che già esistevano tra queste due aree del pianeta allora. Allo stesso tempo, l’idea è quella di offrire spunti di riflessione nel dibattito sulle questioni razziali che attualmente stanno facendo le prime pagine e al centro del dibattito politico.”

Tutto chiaro, no?

Si tratta di un’iniziativa politica ed ideologica. Propaganda mondialista che violerà la sacralità di uno dei più importanti templi dell’Identità italiana, cercando di inventarsi improbabili influssi africani nella cultura Rinascimentale. Le oligarchie cosmopolite hanno dato un forte impulso al processo di decostruzione delle nostre specificità, desiderose di resettare uomini e donne per creare il prototipo del consumatore perfetto: apolide e sradicato. Del resto, quello a cui ambiscono le multinazionali è soppiantare il patrimonio simbolico dei popoli con i propri loghi colorati.

Il Direttore degli Uffizi Erik Schmidt, su cui si levarono non poche polemiche quando venne arbitrariamente nominato da Franceschini del Pd al posto del suo predecessore, il fiorentinissimo storico dell’arte Antonio Natali, ha presentato l’evento con toni entusiastici.

“Gli Uffizi non sono una torre d’avorio d’arte; infatti – ha detto – le sue collezioni affrontano i grandi temi del nostro mondo contemporaneo. Attraverso l’arte, il museo può raccontare la grande storia del passato, dando vita anche alle opere d’arte del presente. I suoi capolavori parlano un linguaggio universale che ci aiuta non solo a comprendere meglio la propria epoca, ma anche a comprendere il futuro che vogliamo costruire”

Reagire o morire

Sarà perché il Direttore ha dimostrato più volte di non conoscere bene l’italiano, ma queste dichiarazioni, a legger bene, non sono di grande aiuto alle finalità ideologiche che il tedesco intenderebbe sostenere. La storia raccontata nel Museo, infatti, nasce nelle botteghe delle nostre città e dice esattamente il contrario. Il linguaggio parlato dalle collezioni presenti agli Uffizi esprime una forma identitaria ben definita. E’ la proiezione della storia, dei miti, dei simboli, dei riti, delle radici di uno specifico popolo, quello italiano. Attraverso le più alte virtù umane messe a disposizione dell’arte con sapienza, eccellenza e conoscenza, i nostri antenati hanno fissato in eterno i simboli di una Civiltà che, diversamente da altri, hanno saputo edificare in secoli di splendore.

Esiste un’asse verticale che connette sacralmente una terra, un popolo e le sue divinità. Quando in quest’ordine si rompe qualcosa, una Civiltà muore. Qui risiede l’obiettivo finale di ogni singola, subdola, iniziativa globalista: stroncare ciò che ci rende consapevoli di noi stessi, renderci dimentichi di cosa la nostra stirpe ha saputo e saprebbe ancora costruire. Tutto è nelle nostre mani: reagire, specchiandoci nel nostro passato, oppure soccombere e morire.

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