Biden vola in Medio Oriente

Il presidente americano si appresta ad iniziare il tour più complicato dall’inizio del suo mandato, non tutti concordano sul fatto che la visita risponda alle esigenze "dell‘interesse nazionale" americano. 

Medio Oriente – Joe Biden è appena atterrato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv ma la sua visita a tappe in Medio Oriente – Israele, Palestina e Arabia Saudita – è già al centro di cronache e analisi internazionali. Tutti gli osservatori concordano: non è un viaggio qualunque per il presidente USA. Soprattutto perché non avviene in un momento qualunque. L’invasione russa in Ucraina ha sconvolto i piani di un’amministrazione che avrebbe preferito concentrarsi sul quadrante strategico dell’Indo-Pacifico. Ma le turbolenze nel settore energetico e sui mercati innescate dalla guerra di Vladimir Putin impongono degli aggiustamenti. La politica estera americana torna in Medio Oriente e nel Golfo per consolidare la sicurezza energetica e rafforzare indirettamente il fianco orientale dell’Europa, minacciato dall’avventurismo del Cremlino. 

Dimostrare una nuova leadership

Medio Oriente – Non si tratta, insomma, solo di ottenere un aumento della produzione petrolifera saudita per calmare l’inflazione e raffreddare i prezzi in vista delle elezioni di mid-term. Si vuole dimostrare il ritorno della leadership americana in Medio Oriente e nel mondo. Joe Biden arriva in Israele mentre il paese è alle prese con l’ennesima crisi di governo e un cambio ai vertici. Naftali Bennett ha ceduto la premiership a Yair Lapid, capo di governo designato fino alle elezioni di novembre. La campagna per il voto – il quinto in tre anni e mezzo – si preannuncia incandescente. L’ ex premier Benjamin Netanyahu, pur sotto inchiesta, intende riprendersi la guida del paese. Ma nei colloqui con i vertici israeliani Biden affronterà soprattutto lo spinoso dossier iraniano, mentre il dialogo per un accordo con Teheran sembra essere a un punto morto. 

Le tensioni in Israele

Ma anche la ‘normalizzazione’ delle relazioni israeliane nella regione, e la costruzione di un patto di difesa aerea integrata per la sicurezza regionale sono temi in agenda. Quanto ai palestinesi, le fonti di tensioni sono molteplici. In primis  la questione della riapertura del consolato americano a Gerusalemme, finora sempre rimandata. oltre l’uccisione della giornalista di al Jazeera, Shireen Abu Akleh. La leadership palestinese sperava in una condanna di Israele da parte di Washington mentre il dipartimento di Stato ha concluso le sue indagini, sostenendo che probabilmente la reporter (che aveva cittadinanza americana, ndr) è stata uccisa dai soldati israeliani. Ma non ci sono prove che lo abbiano fatto intenzionalmente. In una lettera aperta dai toni durissimi, , la famiglia Abu Akleh ha chiesto a Biden “la fine dell’impunità” per gli omicidi extragiudiziali commessi da Israele. E per il Washington Post, “i fantasmi di Shireen abu Akleh e Jamal Kashoggi incombono sul viaggio del presidente”.

 Le trappole sul sentiero di Biden

Il lungo tour del presidente americano nella regione è disseminato di trappole. In Arabia Saudita Joe Biden vedrà il vecchio re Salman bin Abdulaziz insieme al principe ereditario Mohammed bin Salman. Di lui, durante la campagna elettorale del 2019, Biden diceva: “è un pariah”. La Cia aveva le prove che fosse il mandante dell’omicidio del giornalista e oppositore Jamal Khashoggi. Biden, inoltre, aveva promesso di ostracizzare lui e Ryadh “come meritano”. Oggi, che si appresta a rendergli visita, il presidente ha dovuto spiegare agli americani in un editoriale sul Washington Post dal titolo eloquente “Perché vado in Arabia Saudita”. Chiaramente il presidente punta a un aumento della produzione petrolifera e al contenimento dell’influenza di Russia e Cina nella regione. 

La presenza di Biden contrasta con la retorica dei diritti umani

Ma ciò non toglie che la sua presenza a Gedda – ad un vertice con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Emirati, Oman, Qatar, Bahrain, Kuwait e Arabia Saudita), più Egitto, Giordania e Iraq – contrasta in modo evidente con la retorica sui valori democratici e i diritti umani che l’attuale amministrazione aveva detto di voler “riportare in cima all’agenda statunitense”. “Biden incontrerà il principe ereditario – osserva Ishaan Tharoor– e solo i protocolli del coronavirus potrebbero risparmiargli l’umiliazione di una stretta di mano”. Mentre il presidente americano si appresta ad iniziare il tour più complicato dall’inizio del suo mandato, non tutti concordano sul fatto che la visita risponda alle esigenze di ‘realpolitik’ e ‘interesse nazionale’ americano. 

Mentre il suo indice di popolarità, secondo i sondaggi, è intorno al 33%, le perplessità travalicano la galassia repubblicana, per diffondersi in organi di stampa tradizionalmente vicini al partito democratico. 

Anche la stampa “democratica” contro Biden

Infatti il Washington Post, in un duro editoriale sottolinea come “il presidente dovrebbe sapere che l’incontro con Mohammed bin Salman, o MBS, come è noto, darà al leader saudita esattamente ciò che tre anni di campagne di pubbliche relazioni saudite, spese di lobbying e persino una nuova lega di golf non hanno avuto: un ritorno alla rispettabilità”. 

L’affondo a firma di Fred Ryan, editore del quotidiano, prosegue sottolineando che “questa immeritata assoluzione, otterrà solo di minare gli obiettivi di politica estera che Biden spera di raggiungere”. E segnalerà al mondo “che i valori americani sono negoziabili”. Visite come queste, secondo Ryan, “erodono la nostra autorità morale e alimentano risentimento antiamericano. Comunicano agli attivisti per la democrazia e ai governi riformisti di tutto il mondo che Washington è un partner inaffidabile. E questo semina confusione e sabota la nostra diplomazia, l’opposto di ciò che Biden sta cercando di ottenere”.

 

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FONTE:ispionline.it

 

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