Beatrice Venezi e l’imperialismo culturale della sinistra: un attacco politico travestito da critica artistica
C’è un dato che fa riflettere più delle polemiche: Beatrice Venezi ha tutte le carte in regola per dirigere il Gran Teatro La Fenice di Venezia.
Eppure, la sua nomina è stata seguita da un’ondata di proteste, lettere aperte, e indignazione da parte di alcuni orchestrali e intellettuali
Il motivo? Il suo curriculum? No. Il vero nodo sembra essere la sua identità politica, o meglio: la sua non appartenenza al pensiero dominante progressista.
Ma andiamo con ordine. Nel 2011, il venezuelano Diego Matheuz venne nominato direttore musicale della Fenice all’età di 27 anni. Allora nessuno protestò. Nessuno gridò allo scandalo, nonostante risultasse – dai dati pubblici di Operabase – con un solo concerto nell’anno precedente alla nomina e quattro nell’anno della nomina stessa.
Beatrice Venezi viene nominata nel 2025, a 35 anni. Diplomata in pianoforte a 15 anni e in direzione d’orchestra con il massimo dei voti al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha alle spalle 11 anni di direzione d’orchestra, ha guidato diverse orchestre in Italia e all’estero, ed è attiva con continuità concertistica documentata: ben 9 concerti nell’anno precedente alla nomina e 12 nell’anno stesso, come riportato su Opera base
Un’attività ben più intensa di quella che accompagnava il curriculum di Matheuz al momento della sua nomina. Eppure, oggi su Venezi piovono accuse di “curriculum inadeguato”.
È paradossale. Un confronto oggettivo mostra come il suo profilo sia almeno pari, se non superiore, a quello di un predecessore che fu accolto senza rumore.
La domanda sorge spontanea: perché allora tutto questo accanimento?
La risposta, per molti osservatori, è politica. Beatrice Venezi è stata etichettata come vicina alla destra, colpevole di non piegarsi ai canoni del pensiero unico che da anni domina certe istituzioni culturali italiane. Questo dà fastidio, anzi: in certi ambienti è considerato inaccettabile. Se non sei di sinistra, non puoi occupare un certo ruolo, non puoi dirigere un teatro, non puoi rappresentare l’Italia culturalmente.
Persevera quintali la cultura dell’esclusione, travestita da élite, che si permette di decidere chi è degno e chi no, non in base al merito ma in base alla conformità ideologica
Il vero problema non è la direttrice d’orchestra, ma l’arroganza culturale di chi pensa che l’arte, la musica, la direzione di un teatro debbano essere appannaggio esclusivo di una parte politica.
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