Antisemitismo culturale 

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Antisemitismo culturale

Dopo la fine del Festival di San Remo dove dal palco dell’Ariston qualche artista si è improvvisato esperto di geopolitica internazionale intervenendo si questioni evidentemente più grandi di lui, si è scatenata una comprensibile bagarre.

Lo slogan “Stop al genocidio” richiama perfettamente una determinata situazione (non si tratta di un appello alla pace) letta in chiave antiebraica sulla base di una narrazione fuorviante per cui Israele vorrebbe perpetrare un massacro etnico ai danni del popolo palestinese.
Una tesi delirante che esce dunque, non solo dalle piazze pro-palestina, ma addirittura dal servizio pubblico radiotelevisivo in occasione della più importante manifestazione canora italiana.

Insomma una cosa gravissima

Come grave è che nessuno sia intervenuto a rettificare, a difesa della verità dei fatti, lasciano che che questo messaggio distorto venisse veicolato sulla Tv pubblica, in totale assenza di contraddittorio.

Un episodio molto grave stigmatizzato subito dalle comunità ebraiche d’Italia che ha costretto la RAI a intervenire successivamente mediante un comunicato stampa letto in diretta TV da Mara Venier a “Domenica In”. Un CS doveroso in cui l’AD Sergio ha ricordato i massacri del 7 Ottobre, gli ostaggi ancora in mano alla organizzazione terroristica Hamas e ha testimoniato vicinanza al popolo di Israele.
Un Comunicato Stampa doveroso persino scontato che tuttavia ha provocato reazioni inconsulte e pericolose nelle piazze pro pal d’Italia, oltrechè minacce per l’AD Sergio, messo immediatamente sotto scorta.

Insomma la rappresentazione plastica di un mondo rovesciato in cui se ti esprimi non dico a favore di Israele, ma contro l’organizzazione terroristica Hamas, sei in pericolo di vita

Ebbene, da quel momento, in varie città d’Italia si sono scatenate manifestazioni davanti alle sedi RAI organizzate da associazioni vicine alla cosiddetta causa palestinese e supportate da organizzazioni politiche di estrema sinistra. Manifestazioni che talvolta – è il caso di Napoli – sono finite in tafferugli che solo la prontezza delle Forze dell’Ordine ha saputo fermare in tempo.

Anche a Firenze, nella giornata di Giovedì scorso si è verificata una manifestazione di tale natura che non ha fortunatamente provocato danni materiali a persone e cose ma, al pari delle altre simili, ha diffuso menzogne e falsità.

I medesimi slogan che ormai si sentono sistematicamente a ogni manifestazione pro Pal, che accusano Israele di genocidio (“Stop al Genocidio”), di occupazione (“Free Palestine”) e addirittura di esistere (“ “Form the river to the sea”) sono rimbalzati da un angolo all’altro d’Italia veicolando un messaggio di odio molto diverso dalla presunta pace
Qualcosa, a dire il vero, inaccettabile perchè falso, pericoloso e venato – ormai senza più pudore – di un antisemitismo manifesto che rende il clima estremamente pericoloso e incendiario.

Ma il problema è persino più serio

Queste manifestazioni sono fenomenologia di un problema più complesso che riguarda la costruzione di identità e pensiero i cui autori siedono anche negli alti scranni delle nostre istituzioni, o sono leader di partito, che non avvertono su di loro la responsabilità di guidare la società verso una razionale lettura della realtà, ma si comportano essi stessi, anzi essi prima di tutti, come tifosi e capi ultras.

Come non ricordare eminenti ex sindaci che considerano Hamas un’organizzazione di resistenza e non un’associazione terroristica e che minimizzano la portata del 7 Ottobre riducendola a reazione rispetto a decenni di presunta occupazione israeliana delle terre di Gaza e Cisgiordania.

Come dimenticare le sparate di uneminente leader di partito che invitava a non fornire armi a Israele (come se avesse bisogno delle nostre forniture, che peraltro mai si sono verificate) perchè sarebbero state usate per crimini contro l’umanità.

Come trascurare che, in questo mondo al contrario che si va di giorno in giorno dipingendo, Israele si trova sul banco degli imputati alla Corte Internazionale dell’Aja, mentre Hamas ancora è giurisdizionalmente vergine (si spera ancora per poco).

Come omettere le vergognose parole di Lula, che proprio ieri, ricordava come Israele starebbe compiendo un genocidio assimilando lo stato Ebraico nientemeno che a Hitler

Come dimenticare le parole di Gutierrez, Segretario Generale dell’Onu che asseconda la tesi per la quale il 7 Ottobre sarebbe stata una reazione a un problema esistente (cioè l’occupazione di Israele)
Insomma, se questo è il clima perpetrato dalle forze politiche, o, peggio, dalle istituzioni internazionali, senza che alcuna verifica venga effettuata, e si prendono per buoni i dati provenienti da un’organizzazione terroristica, come possiamo stupirci se quattro (e non sono quattro) scalamanati manifestano al grido “Fuori Israele dalla RAI”.

Il problema, dunque, è molto più grave e radicato nella società e nella politica

Perchè se andiamo a vedere quali sono le aree culturali da cui provengono certe espressioni di delirio, scopriamo che in larga parte esse si annidano nell’estremismo di sinistra, ideologico, terzomondista, e novecentesco cui anche parte della sinistra riformista si è resa prona in modo imbarazzante.

Una sinistra sempre più massimalista cui non sfugge nemmeno il Partito Democratico con il nuovo corso impressogli da Elly Schlein e che strumentalizza l’alto e nobile concetto di pace a fini antiebraici.

Quando infatti si parla di “cessate il fuoco” non lo si chiede a chi bombarda al ritmo di un missile ogni trenta secondi le città israeliane, ma lo si chiede a Israele (cioè, la vittima)

Quando si invoca la pace, non si richiede la liberazione degli ostaggi israeliani in mano di Hamas, ma la si richiede a Israele (cioè la vittima).
Quando si chiede la liberazione della Palestina non la si richiede ad Hamas che soggioga il popolo palestinese (che finalmente pare svegliarsi), ma lo si richiede a Israele.

Insomma una narrazione falsa, ignorante (voce del verbo ignorare), e faziosa che però trova forza nelle piazze, sui social, e in TV.

Insoimma siamo di fronte a una nuova versione della c.d. Egemonia culturale di cui una certa sinistra si sente depositaria, in un allibente complesso di superiorità che diventa connivenza con il Male.

Una cosa molto diversa da quella predicata da Antonio Gramsci che fondava tale egemonia su un maggior studio, ujna maggiore complessizzazione della realtà che doveva trovare negli intellettuali impegnati la cornice di riferimento teorico di un’azione liberatrice del popolo ai danni delle elite.

Oggi, siamo all’egemonia della cultura da bar, del sentito dire, del post rilanciato sui social, scevro da qualsiasi controllo di veridicità ma massificato a ritmi vertiginosi dal mezzo

Non un’egemonia qualitativa quale quella tratteggiata da Gramsci, ma una egemonia quantitativa che si nutre della massa informe e acritica. Che fa numero senza fare sostanza.

E allora dobbiamo proprio render onore e merito a chi, pur stando da quella parte, osa ribellarsi gli egemoni

Osa contraddire l’eterna giaculatoria del popolo palestinese schiacciato dalla brutalità israeliana

Osa rendere più complesso ciò che complesso effettivamente è.
Ma si tratta di sparute minoranze. Tanto meritorie quanto ininfluenti.

Ebbene, su questo ci sarebbe da riflettere molto in una prospettiva che voglia costruire una realtà diversa, più consapevole e che possa veramente portare a soluzioni o ipotesi di soluzione realmente credibile delle problematiche che investono il nostro tempo.

Ecco, forse sarebbe il caso di recuperare la teoria gramsciana dell’egemonia culturale, estraendola dal complesso di superiorità della sinistra (che evidentemente non sta in piedi) ma estendendola a tutti gli uomini di buona volontà che non si accontentano del tifo e della propaganda.

E non si venga a dire che anche il tifo e la propaganda sono espressione del diritto alla libertà di pensiero

Perchè se è vero che tale diritto esiste ed è sacrosanto di esso non se ne può abusare, trasformandolo nel licenza di mentire spudoratamente.

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