Amen, awomen e dintorni: il politically correct sbagliato

politically correct

Il “politically correct” è una ideologia che a sinistra ha sostituito il marxismo-leninismo, e, al contempo, un modo di pensare che ormai va in automatico. Specie nel caso di certi individui. Ne abbiamo avuto la riprova in questi giorni.                                           

Prima, a Firenze, con la capogruppo della lista Nardella, Mimma Dardano. La quale, appresa la notizia dell’uccisione dell’imprenditrice trentina di origine etiope Agitu Gudeta -ammirevole esempio di integrazione riuscita- ha pensato bene di affibbiare al Centrodestra e alla Lega in particolare la responsabilità morale del crimine.

Sulla base dell’apodittico assunto che la lotta all’invasione di clandestini genera inevitabilmente un clima di violenza razzista. Salvo cancellare tutto quello che aveva, troppo precipitosamente e incautamente, postato in rete quando la Polizia ha reso noto che l’assassino era un dipendente della povera Gudeta, proveniente peraltro dal Ghana e nero come la pece. Una figuraccia colossale, per non dire altro.           

E poi, negli USA, l’episodio più clamoroso. Quello del deputato democratico Emanuel Cleaver, che ha voluto concludere il suo intervento alla Camera dei rappresentanti con la formula “amen and awomen”. Già, perché se un discorso ha l’afflato religioso di una invocazione non può certo terminare con un semplice amen, dato che il dono della preghiera è stato concesso agli uomini come alle donne. (CLICCA QUI per l’articolo)

Ed ecco allora l’inevitabile “awomen”. La cosa grave è che il suddetto parlamentare è pure un pastore protestante. Tenuto a conoscere, non fosse altro che per una certa pratica quotidiana, il senso di alcuni termini religiosi; a cominciare appunto da “amen”: parola ebraica che significa “così sia”. Il che spiega forse come alla base del politicamente corretto non vi sia solo un pensiero debole ma anche una teologia debole…  

Moriremo tutti di politically correct

I due episodi, se da un lato rappresentano un triste segno di tempi nuovi ma sconfortanti, dall’altro lato hanno comunque il merito di aver pubblicamente evidenziato il riflesso pavloviano del politicamente corretto. Riflesso fondato sul sottinteso.                 

Nel primo caso il sottinteso era che una donna di colore non può che essere brutalizzata e assassinata da un razzista bianco e magari leghista, visto che il delitto è avvenuto nel nord-Italia.  Nel secondo caso il sottinteso è che un uomo democratico e progressista ha il dovere di far sapere a tutti che è favorevole alla parità di genere in ogni campo, compreso quello lessicale; al costo di correggere le parole e fare della semantica l’ancella del politicamente corretto.

Di questo passo, però, il sottinteso finisce con occupare uno spazio ed acquisire un peso che rendono greve, opaco e ambiguo il “politically correct”, vanificando proprio il suo desiderio di chiarezza, la sua vocazione didattica. Non più pensiero di luce ma d’ombra, il politicamente corretto perde così di valore. Riducendosi a merce contraffatta, a grottesca parodia di qualsivoglia pensiero.

Resta il pericolo sociale del conformismo veicolato dal politicamente corretto. Dei tanto volenterosi quanto stolti ripetitori e imitatori di luoghi comuni e di comportamenti ispirati al buonismo: a quella specie di surrogato pseudo religioso che ispira il politicamente corretto confondendo i buoni sentimenti col bene. Vero e proprio peccato di superbia oltre che di stupidità.

Ma è una deriva alla quale ci si può opporre richiamandoci al senso della realtà, alla complessità e tragicità della storia. E soprattutto rivendicando con forza il diritto al proprio pensiero: libero, e politicamente scorretto se e quando occorre. Amen!

 

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