Alika Ogorchukwu: le speculazioni di politica e giornalismo con il morto ancora caldo

Alika Ogorchukwu: l'assassino in carcere, nessuno parla di razzismo. Eccetto alcuni giornalisti e politici in campagna elettorale

 

Lo so, è un titolo forte ma non me ne vogliate a male.

Rispetto assoluto per la vittima, Alika Ogorchukwu, e per il dolore della sua famiglia.

Rispetto che avrei voluto vedere anche da quel mondo politico talmente immerso nella campagna elettorale da credere che anche un morto “faccia brodo”. 

Altro termine poco consono al contesto, pardon, ma se aveste scorso le pagine Facebook e Twitter di personaggi pubblici, politicamente impegnati, di artisti e di giornalisti vi sareste accorti di come il tema del razzismo sia ridondante, malgrado ancora nessuno abbia ricollegato l’omicidio di Alika Ogorchukwu ad un movente razzista. 

Un palese errore, dunque, figlio non di una svista ma, a quanto pare, di una precisa strategia che vorrebbe ricollegare il fatto di sangue di Civitanova ai contenuti dei programmi dei partiti di centro-destra. Ora, è da anni che si cerca di far apparire l’Italia come il Mississipi degli Anni Sessanta, quasi che gli assassinii, le violenze, le chiese date alle fiamme ed i pestaggi degli Stati, democratici, del sud degli Stati Uniti fossero lontanamente paragonabili alla situazione, decisamente migliore, degli immigrati in Italia. Senza considerare poi che gli afro-americani del Sud erano cittadini statunitensi deliberatamente trattati come fossero di serie B. 

L’episodio di Civitanova Marche è orrendo: una furia gratuita in stile Arancia Meccanica sfociata in omicidio, sotto gli occhi indifferenti dei passanti.

Un omicidio appunto, il movente razzista non ha trovato fondamento né la moglie di Alika, nel suo appello alla giustizia, ha fatto menzione al colore della pelle suo e del marito. 

Poche ore più tardi, inoltre, ad Avellino un cinese ed un bulgaro sono stati il primo ucciso ed il secondo mandato in prognosi riservata da un nigeriano: razzismo anche quello?

Ricorrendo al metro di giudizio di Rula Jebreal, di Nicola Fratoianni, di Paolo Berizzi (tanto per citarne alcuni) dovremmo parlare di sinofobia dell’assassino africano. Il che non sarebbe neanche cosa assurda, considerati i crimini etnici che da decenni insanguinano la terra nigeriana. 

Già, perché la discriminazione e l’odio mica sono solo figlie dell’uomo bianco, appartengono a tutti i gruppo etnici. 

Tuttavia, mancando anche in questo caso il movente razzista, quello di Avellino è purtroppo un altro grave fatto di sangue, senza però complicazioni di tipo ideologico. 

In Italia politica e giornalismo hanno raggiunto livelli piuttosto bassi molto prima della morte di Alika. Un abbassamento che, stavolta, è movente vero della crescente sfiducia della popolazione verso le Istituzioni e verso i media. Ed è da questo tracollo di credibilità che nascono l’antipolitica, il qualunquismo e, come nel caso di Civitanova, l’indifferenza. Indifferenza a ciò che leggi, a ciò che ascolti, alla ormai assodata mancanza di riferimenti e, poi, indifferenza di fronte ad una barbarie quale quella consumatasi in Corso Umberto I. 

Questo non è mai stato un Paese libero, semmai appiattito su delle posizioni che alcuni fra i politici, i giornalisti e la gente comune hanno abbracciato più per convenienza che per reale convinzione. Altrimenti non si spiegherebbe il senso di tirare in ballo i leader di altri partiti di fronte ad un omicidio che con la politica ha nulla a che fare. 

Appiattimento delle idee, dell’azione, del carattere. Perché rischiare di sedere dalla parte del torto, di crearsi problemi quando è più facile seguire la corrente?

Dovessimo dar retta ai soli sondaggi riterremmo la maggioranza degli Italiani pro UE, pro Ucraina, pro immigrati, pro solidarietà, sempre pronti a dare una mano.

Ma siccome i sondaggi non sono sufficienti per descrivere un popolo, ecco qua che fatti come quello di Civitanova, con la gente che filma un omicidio, di Milano la notte di Capodanno con la gente che tace, casi di omertà e di silenzio per evitare guai ti sbattono in faccia l’amara realtà.

Perché fra chi assisteva indifferente alla morte di Alika Ogorchukwu c’erano anche persone che lo vedevano passare ogni giorno, che magari gli avevano lasciato l’obolo per sentirsi in pace con la coscienza e per dire a se stessi di non essere razzisti… ma che nel momento del bisogno sono rimasti lì a guardare.

 

 

 

(Fonte immagine di sfondo: Gazzetta del Sud)

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