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L’università telematica e il senso perduto della formazione

di Alessandro Scipioni
8 Novembre 2025
In Attualità
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L’università telematica e il senso perduto della formazione
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L’università telematica e il senso perduto della formazione

L’università telematica, probabilmente, rappresenta il futuro. È comoda, economica, e costituisce uno strumento utile, soprattutto per chi lavora e desidera frequentare le lezioni a distanza.

Così come l’intelligenza artificiale è uno strumento utile. Così come lo sono le video call

Guardiamo in faccia la realtà: a uno studente fuori sede conviene restare a casa e seguire tutto online. Non ha spese di alloggio, riduce quelle di vitto, e non deve sostenere costanti costi di viaggio.

L’intelligenza artificiale è uno strumento, non un nemico. L’essere umano non torna mai indietro. Chi sostiene il contrario — il “fan del calamaio” — probabilmente non ha mai frequentato un’università telematica.

Quando arrivò il computer, la macchina da scrivere divenne solo questione di tempo

Quando arrivò il digitale, l’analogico era già destinato a scomparire.

Qualche giorno fa, un ragazzo che reputo intelligente mi raccontò di essere andato a sostenere un esame, accompagnato da un amico. Tornò dopo meno di mezz’ora, soddisfatto di aver preso 23. Mi disse con un certo orgoglio che l’amico, fuori dall’inquadratura della telecamera, lo aiutava guardando le domande e cercando le risposte sui libri.

Sorridendo, gli feci notare che, con un suggeritore al fianco, avrei almeno sperato in un 30 e lode

Lui rise e mi spiegò che l’amico non conosceva la materia e spesso lo confondeva. Era il penultimo esame della sua laurea in Scienze Politiche, ma ammise candidamente di non capire molto della materia, come del resto di molte altre.

Il lato più tragico della vicenda era che l’esame consisteva in un quiz a risposta multipla.

Gli chiesi allora come avrebbe fatto con la tesi. Mi rispose che gliela stava scrivendo una signora.

L’amico suggeritore gli chiese: “Perché non usi l’intelligenza artificiale?”

E lui: “Perché l’università ha un programma antiplagio, e mi beccano.”

Non aveva neppure seguito la prescrizione di visualizzare almeno l’80% delle lezioni. Aveva fatto accedere sua sorella con il proprio account, in cambio di un modesto pagamento.

E, a dire il vero, il problema non riguarda solo le università telematiche: ormai anche in molte università tradizionali si tende a “far passare” l’esame quantomeno perché lo studente è tornato più di una volta, come se la semplice presenza o la costanza nel tentare valessero più della preparazione. È il segno di un sistema che, per stanchezza o per convenienza, si accontenta della forma e rinuncia alla sostanza.

A quel punto mi sono chiesto: non sarebbe meglio consentire direttamente l’uso dell’intelligenza artificiale? Almeno, costringerebbe lo studente a interagire, a riflettere, a rivedere il testo

Ho sempre pensato che il problema dell’intelligenza artificiale non fosse il rischio che “pensasse al posto nostro”, ma che non venisse usata come integrazione del pensiero.

In una società in cui i titoli di studio si ottengono così facilmente, bisogna dare ragione a Luigi Einaudi, quando diceva che “i titoli di studio valgono meno della carta sulla quale sono stampati”. Io aggiungo: soprattutto se continuiamo a regalarli.

L’università telematica è il futuro, sì, ma rischia di farci perdere quella “gavetta”, quella fatica e quella difficoltà che creavano relazioni umane e formavano caratteri.

Sono un grande critico della scuola italiana. Non credo che oggi produca molta intelligenza, e condivido il difetto che Montanelli evidenziava rispetto alle scuole estere: la nostra scuola non forma caratteri.

Insegna scorciatoie

E da quando gli ignoranti si sono messi in cattedra, hanno spento la voglia di fare di chi voleva davvero imparare.

Sono nemico di questa scuola italiana.
Odio i professori che bocciano per orgoglio o per rigidità, perché un professore che boccia così ha fallito.
Ma amo i professori che bocciano per far crescere.

Ci sono due tipi di bocciature: quella che fa maturare lo studente, e quella che lo blocca

Tutto dipende dal ragionamento del docente: “Voglio aiutarti a migliorare” o “so già che non ce la farai”.
Nel secondo caso, è una vergogna per la categoria. Nessun professore è Dio. Nessuno può conoscere il destino delle persone. Molti illustri bocciati hanno poi smentito il mondo accademico.

Ma sono anche nemico dei professori della “promozione facile”. Perché, pur mossi da buone intenzioni, cadono nello stesso errore: si arrogano il diritto di sapere cosa una persona potrà o non potrà diventare.

In entrambi i casi manca la fiducia nel potenziale umano

Poi ci sono i professori che sanno dosare severità e incoraggiamento. Quelli che promuovono un ragazzo da cinque e mezzo a sei perché si è impegnato davvero, ma che lo spronano a puntare più in alto. Quelli che, di fronte a un quattro, dicono: “So che puoi fare di più”.

E allora mi chiedo: avremo tutti i figli laureati, e saremo tutti felici di chiamarli “dottori”. Ma davanti allo specchio della verità, stiamo davvero formando dei dottori?

Non dovremmo, piuttosto, riformare la scuola perché si impari davvero qualcosa?

E, ancora di più, non dovremmo riformare i caratteri, perché si impari a ragionare, a leggere, a comprendere, a dare significato e spessore — prima di tutto — a noi stessi?

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Tags: ISTRUZIONEPRIMO PIANOSCUOLAUniversità CusanoUNIVERSITA'
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