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WOKE E CARRELLO 2.0 IL CASO COOP E LE SCELTE A GEOMETRIA VARIABILE

di Simone Margheri
30 Giugno 2025
In Attualità
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WOKE E CARRELLO
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WOKE E CARRELLO 2.0 IL CASO COOP E LE SCELTE A GEOMETRIA VARIABILE

Pochi giorni fa, su Ad Hoc News, avevamo documentato l’arrivo della Gaza Cola nei punti vendita di alcune cooperative italiane, tra cui Coop Alleanza 3.0 e Unicoop Firenze. Un prodotto simbolico – e solidale – nato per sostenere economicamente la ricostruzione dell’ospedale Al-Karama a Gaza. Un’operazione dal forte impatto mediatico, ma accompagnata da un gesto ben più controverso: la rimozione dagli scaffali di alcuni prodotti israeliani, in nome della solidarietà con la causa palestinese.

A stretto giro, Coop Nazionale ha preso le distanze da queste iniziative locali. In un comunicato ufficiale, si legge che “non spetta alle imprese boicottare Israele”, e che decisioni simili devono rimanere in capo ai soci e ai consumatori, non ai vertici aziendali. Una presa di posizione chiara, giusta e condivisibile che tuttavia arriva solo dopo l’esplosione mediatica e politica del caso

La scelta di rimuovere prodotti in base alla loro origine nazionale, pur vestita di motivazioni etiche, è una linea che, una volta varcata, espone a rischi evidenti: strumentalizzazione, polarizzazione, consumo ideologico. In particolare quando queste iniziative nascono – come in questo caso – in territori dove è noto che l’elettorato è sensibile, o addirittura orientato, su determinate posizioni politiche e geopolitiche.

Il sospetto che si tratti non solo di solidarietà, ma anche di posizionamento identitario a fini interni magari finalizzato all’ aumentato di fatturato sembra essere un ipotesi quantomeno plausibile

Quando si usa un dramma umanitario come quello di Gaza per segmentare il consenso, ci si muove su un terreno scivoloso. La solidarietà non può trasformarsi in leva di comunicazione né tantomeno in marketing morale, ci sono recenti esempi nazionali di promozione di Panettoni o Pandori non ricordo bene che al di là dei risvolti giuridici hanno avuto un comprensibile effetto boomerang.

Il rischio boomerang è maggiore quando a metterla in scena sono soggetti che godono di benefici fiscali specifici – come le cooperative italiane – e il cui operato impatta sull’equilibrio della fiscalità generale oltre al fatto che i propri dipendenti hanno stipendi mediamente più bassi dei competitor ” privati ” e un effetto boomerang potrebbe essere ulteriormente pericoloso

Qui si apre un secondo nodo, di etica aziendale : quello del trattamento tributario riservato alle cooperative. In Italia, le grandi cooperative operano con un regime fiscale agevolato, spesso assimilabile a quello di un ente no profit, ma non lo sono né dovrebbero aspirare ad esserlo perché per questo esistono gli enti del terzo settore che hanno una regolamentazione specifica e una fiscalità molto rigida sia per quanto concerne il reperimento dei fondi che l’utilizzo degli stessi, ecco perché le coop pur muovendosi con logiche e volumi da attore industriale si comportano come un’ associazione di volontariato o ong. In altri paesi europei, benefici di questo tipo vengono concessi solo in presenza di funzioni mutualistiche effettive, tangibili, verificabili.

Da noi, invece, permangono margini troppo ampi di discrezionalità che proprio agli enti del terzo settore non sono dati per imporre una giusta trasparenza a chi opera in settori socialmente sensibili

Non è accettabile che imprese che godono di una fiscalità agevolata possano permettersi campagne ideologiche divisive a costo zero. Quelle agevolazioni non sono una dotazione politica: sono uno strumento, concesso dalla collettività in cambio di un servizio utile, neutrale, inclusivo.

Il ravvedimento –quanto meno tardivo – della direzione nazionale di Coop arrivato dopo il rumor dei social e dei meme è stato sicuramente un passo nella giusta direzione, ma non basta a colmare il vuoto di regole e responsabilità che questa vicenda ha banalmente mostrato ed è un campanello di allarme che forse dovrebbe fare riflettere su certe opportunità concesse per altri fini e scopi.

Forse sarebbe opportuno che chi di dovere ripensasse con serietà la cornice normativa e fiscale entro cui operano le grandi cooperative, come è stato fatto peraltro recentemente appunto per il terzo settore, riportando trasparenza ed equilibrio tra ruolo sociale e dimensione economica come nel resto d’Europa

Le scelte etiche, se vogliono essere autentiche, devono valere sempre, non a geometria variabile. E soprattutto, non possono servire da maschera per dinamiche di consenso politico. Perché se tutto diventa simbolo, allora nulla è più credibile.

Nemmeno una lattina di Gaza Cola

Un socio di coop 3.0 ha scritto in una lettera aperta dove si indignava per la decisione presa dalla dirigenza di togliere i prodotti israeliani, quando in passato non è stato fatto per esempio nei confronti della Cina, Turchia, Vietnam, Russia e giustamente scrive: “la decisione di Coop 3.0 va oltre il livello del singolo e di fatto assume il diritto di decidere al suo posto, quasi che il singolo debba essere protetto dalla propria ingenuità o ignoranza, secondo un meccanismo di orwelliana memoria.”

La libertà non va imposta soprattutto in ambito commerciale.

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Tags: ANTISEMITISMOCOOPIN EVIDENZAPALESTINASESTO FIORENTINO
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