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Anni ’60. Quando Dalida cantò il giorno più lungo senza la retorica hollywoodiana

di
14 Marzo 2020
In Attualità
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“Nous irons vers la victoire/Par le sang des compagnons/Qui ont fait marcher l’histoire
/En mourant pour le jour le plus long” cantava Dalida. Era il 1961 e nelle sale di mezzo mondo usciva Il giorno più lungo, kolossal hollywoodiano dedicato allo sbarco in Normandia. 

Un cast d’eccezione: da John Wayne a Curd Jurgens, passando per un giovanissimo Sean Connery e un quasi irriconoscibile Gert Frobe (i due si sarebbero poi rivisti in Missione Goldfinger). E Paul Anka, sì quello di Diana. 

Un’opera cinematografica che ha segnato la storia, sia per le scene d’azione sia per il già citato cast corale. Un omaggio alla tenacia e alla forza degli Alleati che, con il D-Day, diedero inizio all’assalto finale contro l’Europa occupata dai nazisti. 

Eorismo e sacrifici, ma anche una ironia che stona con la tragedia dell’invasione della

1962. “Il giorno più lungo”. Ray Danton e Robert Mitchum (a dx).

Francia: circa 10 mila i caduti. Perdite contenute per gli strateghi di allora, ma comunque rilevanti. Il dramma delle prime ondate di paracadutisti e di fanti da sbarco giunte in suolo francese sarà raccontata 30 anni dopo da Salvate il Soldato Ryan e da Band of Brothers. 

Forse è anche questo il motivo che spinse gli autori del brano a cercare un taglio diverso. Non troppo eroico, dunque, ma realista: 

“[…]Nous irons vers la victoire/Par le sang des compagnons[…]” 
 
Andremo verso la vittoria con il sangue dei nostri compagni. E, nel finale, con “la paura sempre con noi” canta Dalida. 
 
Fu questo l’elemento di smacco rispetto alla filosofia dei produttori hollywoodiani. Dare cioè il senso che si tratto di un’operazione costata sangue, terrore e dolore ai combattenti e ai reduci. 
Il filone cine-bellico del periodo non lascia molto scampo alle emozioni. Il film, fatto per vendere e per emozionare il pubblico, racconta la Seconda Guerra Mondiale quasi si trattasse di una passeggiata o, come nel Ponte sul fiume Kwai, esaltando il senso di civiltà degli Alleati. Contro la barbarie del Tripartito. Solo sul finire degli Anni Sessanta si assiste ad una svolta. Le morti dei soldati sono più realistiche e di impatto, lasciando passare l’idea che un conflitto sia tutt’altro che un’avventura. 
 
Il livello di drammaticità delle scene sale fra gli Anni Settanta e Ottante, in parte grazie anche alla diversa percezione della guerra che gli americani hanno dopo il Vietnam.
 
Sarà Spielberg, con il suo Salvate il Soldato Ryan, a fornire finalmente allo spettatore un’immagine chiara di ciò che fu il D-Day. I primi 20 minuti di pellicola sono infatti da brivido. 
 
Non sappiamo se il regista americano conosca “The longest Day”, ma certamente avrà avuto anche lui il piacere di ascoltare la voce di Iolanda Cristina Gigliotti in arte Dalida. 
 

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