9 agosto 1918, D’annunzio vola su Vienna e stupisce il mondo

1918

Correva l’agosto del 1918 e il primo conflitto mondiale, che vedeva coinvolta anche l’Italia, era in una situazione di stallo.

Per la seconda volta i nostri soldati avevano respinto di austriaci sul Piave, l’avanzata tedesca era stata bloccata sulla Marna e il fronte orientale era allo stremo, ormai sul punto di arrendersi.

In Austria la stanchezza della popolazione si acuiva ogni giorno di più, così come l’insoddisfazione verso il governo.

D’Annunzio era già il Vate

Aveva già raggiunto la notorietà che gli spettava ed era considerato già leggendario. Aveva 55 anni, si era schierato da subito a favore dell’entrata in guerra dell’Italia e, durante il conflitto, aveva prestato servizio in diversi corpi dell’esercito, con un ruolo non tanto strategico quanto “motivazionale”.

Organizzò diverse operazioni mirate a tirar su il morale delle truppe e del popolo, in tipico stile italiano, ardito e goliardico.

Nel 1915 aveva sorvolato Trieste inondandola di volantini.

Nel febbraio del ’18 portò a termine la leggendaria Beffa di Buccari, una vera e propria incursione a bordo dei MAS della Marina che prevedeva il lancio di 6 siluri contro le navi austro-ungariche, ne esplose solo uno ma l’operazione servì a dimostrare la debolezza della marina avversaria e, soprattutto, che agli Italiani veri non devi rompere il cazzo, ad esempio sconfiggendoli a Caporetto.

Qualche mese dopo, il Vate decise di tentare un’operazione singolare.

E’ il 9 Agosto del 1918

Vienna venne sorvolata da 7 S.V.A. che, per fortuna dei viennesi, si limitarono a far piovere sulla città degli innocui volantini, dimostrando, però, che avrebbero potuto sorvolare Vienna in qualsiasi momento e con ben altro carico.

Già da un anno D’Annunzio studiava l’impresa, tanto che 11 mesi prima aveva effettuato un volo di prova, durato 10 ore, senza rilevare problemi. Dimostrò che l’azione poteva essere portata a termine con successo ma alla fine gli venne negata l’autorizzazione, con la scusa della poca autonomia dei velivoli.

Il problema venne risolto dai migliori ingegneri e meccanici dell’Ansaldo, che modificarono il serbatoio del carburante a forma di sedile. Dopo due tentativi falliti nei giorni precedenti, a causa del maltempo, il terzo venne portato a termine.

A D’Annunzio venne ordinato di non continuare il viaggio se lo stormo si fosse ridotto a meno di 5 aerei dagli 8 previsti. Fece quindi riunire i piloti che avrebbero intrapreso con lui questo viaggio, facendogli giurare che non sarebbero mai tornati indietro.

“Se non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non tornerete indietro. Questo è il mio comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l’inferno. Alalà!”

Sulla capitale austriaca arrivarono solo 7 velivoli perché quello pilotato dal tenente Giuseppe Sarti dovette atterrare a sud di Vienna per problematiche legate al motore, prima di essere fatto prigioniero, Sarti riuscì ad incendiare il velivolo.

Alle 9.20 il gruppo arrivò a sorvolare Vienna, che brulicava di cittadini riversatisi in strada spaventati da quello che stava succedendo.

Iniziò il lancio di 50mila copie del volantino preparato da D’Annunzio, alle quali si aggiunsero 350mila copie di un volantino molto più diretto, ad opera di Ugo Ojetti, tradotto anche in tedesco.

Mentre il volantino del Vate era più corposo ed articolato, quello di Ojetti chiedeva ai viennesi di imparare a conoscere gli italiani, che avrebbero potuto sganciare tonnellate di bombe su Vienna ma che invece avevano semplicemente lanciato un “saluto a tre colori: i tre colori della libertà.”

Di seguito il testo completo:

VIENNESI!

Imparate a conoscere gli italiani.
Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni.

VIENNESI!

Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi.
Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola.

POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati!

VIVA LA LIBERTÀ!

VIVA L’ITALIA!

VIVA L’INTESA!

I velivoli presero la via del ritorno, diversa da quella precedente per evitare sorprese e alle 12.40 atterrarono a San Pelagio.

D’Annunzio esultò, inviando un telegramma alla Gazzetta di Torino:

«Non ho mai sentito tanto profondo l’orgoglio di essere italiano. Fra tutte le nostre ore storiche, questa è veramente la più alta…Solo oggi l’Italia è grande, perché solo oggi l’Italia è pura fra tante bassezze di odii, di baratti, di menzogne».

Come dargli torto?

Dal punto di vista strettamente militare potrà sembrare un’operazione di scarsa rilevanza ma la strategia psicologica fu vincente. La stampa austriaca accolse in modo favorevole l’exploit italiano. Emersero le mancanze delle autorità, che non avevano dato in tempo l’allarme alla popolazione, paventando ovviamente l’idea della catastrofe che sarebbe accaduta se gli italiani non avessero avuto intenzioni bonarie.

L’ Arbeiter Zetung si chiese: “E i nostri D’Annunzio, dove sono? Anche tra noi si contano in gran numero quelli che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie. Però nessuno di loro ha il coraggio di fare l’aviatore!”

Oggi ricorre il 102esimo anniversario di questa gloriosa impresa ed è necessario non solo raccontarla ma prenderla ad esempio. Non dobbiamo dimenticare mai quello che siamo stati e quello che abbiamo fatto. Perché, signori, c’è stato un tempo in cui se un italiano decideva di fare una cosa per la Patria, non si chiedeva come farla senza correre rischi o a quanto sarebbe ammontato il guadagno.

L’unica domanda era: “Quando la facciamo?”

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