Vannacci: Andare oltre le tifoserie

Il tifo polarizzato e polarizzante che ormai è divenuto metodo abituale di analisi dell’attualità non poteva non colpire il libro “Il Mondo al Contrario” del Gen. Roberto Vannacci.

Il libro è divenuto un caso editoriale e, accompagnato da ogni sorta di polemica, si è attestato al vertice delle classifiche di vendita Amazon.

Il dibattito che ne è scaturito, ha visto una netta e irriducibile spaccatura – sovente acritica – fra i pro-Vannacci e contra-Vannacci.

D’altra parte, il tenore del libro ben si presta a tale polarizzazione tenuto conto delle volute provocazioni che l’autore nella incontenibile voglia di affrontare tutti i temi, offre al lettore.

“Leggere per criticare”

Ciò che stupisce è che le analisi più estreme in un senso o in un altro provengono da chi non ha letto per intero il libro ma si è accontentato di meri stralci riportati dalla stampa.

Da un lato sono piovute censure integrali sul pensiero, dall’altro persino proposte di candidatura politica (sic!).

Forse la lettura integrale del testo e una riflessione approfondita avrebbero consentito di comprendere che vi è da traumatizzarsi né da esaltarsi per quanto esposto dall’autore. Il tutto nella piena consapevolezza che “Il Mondo al Contrario” non diverrà mai una pietra miliare del pensiero conservatore. In fondo, non era intenzione dell’autore porsi come riferimento per la destra italiana. Vannacci non ha obiettivamente  (né pretende di avere) il respiro di autori come Roger Scruton, Edmund Burke, o anche – per giungere ai tempi moderni – Marcello Veneziani o Francesco Borgonovo.

A ben vedere, si tratta di un libro – autoprodotto – che sarebbe stato venduto solo tra amici e parenti, se le vergini vestali progressiste – in un evidente e comico effetto boomerang – non lo avessero proiettato, a suon di strilli, così in alto nelle classifiche di lettura estiva degli italiani. Anche su questo ci sarebbe da fare una riflessione.

Ma procediamo nell’analisi il più possibile sintetica della vicenda.

Intanto, esistono due questioni: una di metodo, l’altra di merito.

Poteva il Generale esporre le proprie idee? Si.

La prima. Poteva il Gen. Vannacci nelle sue funzioni di militare in attività, scrivere un libro che esulasse dalle sue specifiche competenze e che investisse invece la contemporaneità e le sue tematiche più attuali? La domanda non è da poco, visto che il Ministro Crosetto ha promosso un procedimento disciplinare ai danni di Vannacci. Ebbene, senza voler anticipare esiti per cui non vi è competenza da parte di chi scrive, su un piano meramente intellettuale, la risposta è sì. Un sì non  assoluto né tecnico, naturalmente. Chi non conosce le procedure militari e i vincoli da esse derivanti, non può che fidarsi di chi ne sa di più.

Tuttavia, pur non essendo un sì tecnico, c’è da ritenere che ciascun cittadino, anche il Gen. Vannacci nelle sue vesti private, ha il diritto di esporre il proprio punto di vista su alcune tematiche della contemporaneità. Chi scrive è così innamorato della libertà di pensiero che non può che dirsi favorevole all’esternazione democratica di idee e punti di vista, nella miglior tradizione del pensiero di destra liberale che trova uno dei suoi punti di riferimento in Giulio Giorello.

Purché non vi sia violenza e non vi sia azione violenta ogni idea ha libera cittadinanza nell’agone democratico.

Veniamo al merito.

Il mondo al contrario

Il libro offre una cornice di riferimento entro cui si sviluppa un ragionamento critico riguardo a tali tematiche. La tesi di fondo dell’autore è quella per cui il mondo (occidentale) veda una netta inversione nell’approccio alle cose che sacrifica il buon senso e il pensiero silenzioso della maggioranza a beneficio delle rumorose rivendicazioni di gruppi minoritari di portatori di legittimi interessi. Che si parli di ambiente, di famiglia, di immigrazione, di animalismo ecc. il Gen. Vannacci condanna l’approccio ideologico(-progressista) a certi temi che, in barba alle conseguenze sul medio-lungo periodo per la società, eleva a feticci questi nuovi presunti diritti.

Possiamo contestarne la forma indubbiamente, ma l’approccio del generale non è nuovo e nemmeno criticabile.

Le vestali del progressismo

Da anni ormai assistiamo a minoranze rumorose che a suon di pretese hanno cristallizzato una guerra “di religione” contro chi rimane ancorato a visioni più tradizionali della vita e della società.

Le intemperate di Murgia, Saviano e tanti altri artisti o intellettuali a favore di una società fluida nel genere, nelle convezioni, l’elevazione a diritto di ogni pretesa e capriccio, indipendentemente da una seria analisi sull’impatto sociale di tali rivendicazioni, il tacitare chi si oppone (anche quando è Ministro della Repubblica) sono cose note.

Si può essere d’accordo o meno, ma che vi sia una minoranza molto battagliera nelle proprie idee, “alterum non recognoscens” pare evidente.

Le rivendicazioni di Ultima Generazione, l’ideologizzazione della battaglia LGBT+, la messa in crisi della famiglia tradizionale, l’approccio estremamente aperturista riguardo all’immigrazione di massa sono temi reali. Essi costituiscono il dibattito pubblico da decenni.

Imbrattare i monumenti è una soluzione, pensare che i diritti delle persone omo e transessuali possono essere affermati a suon di censure, sacrificare la famiglia tradizionale a beneficio di nuovi aggregati dai contorni incerti, ovvero aprire le porte del Paese a tutti è una soluzione a questi temi? C’è da dubitarne.

Il buon senso come strumento di razionalità: la cornice di riferimento del testo

Certe cose dunque non le ha scoperte Vannacci che anzi ha fatto bene a metterle in evidenza, soprattutto con riferimento alla sproporzione tra consistenza numerica e attenzione ricevuta. Così come non sarà lo stesso Vannacci a risolvere le contraddizioni di una modernità che si sta imponendo velocemente, ma lo scandalo che si è generato riguardo il suo testo pare francamente eccessivo, sproporzionato, fuori dal buonsenso.

Ecco, nel libro l’autore riporta “ab initio” l’attenzione su ciò che dovrebbe governare i processi di transizione alla modernità e cioè il buonsenso. Il suo è un approccio razionale e pragmatico nel metodo (benchè sia legittimo contestarne i contenuti), che in fondo fa leva su una domanda basilare. Siamo proprio sicuri che tutto quanto sta avvenendo sia conforme alla normalità? Normalità – altro termine che ha fatto discutere molto – intesa non come valore morale, ma come “id quod plerumque accidit” cioè la consuetudine, ciò che è sempre stato, ciò che costituisce la tradizione che si è evoluta nei decenni e nei secoli e che ha garantito progresso e benessere all’Occidente. Insomma il romano “mos maiorum” che ha consentito a quella civiltà di progredire per secoli. Non vi è nulla di scandaloso anzi!

Le sfide al conservatorismo

E’ in buona sostanza il grido di allarme di un conservatore che vede il mondo cambiare a una velocità eccessiva che rischia di travolgere tutto e , senza che vi sia una adeguata maturazione e consapevolezza nelle persone, rischia di portare più danni che benefici.

Un grido che va raccolto da chi ne condivide la cornice di riferimento ma che va declinato in modo critico. Un grido che, invero, andrebbe raccolto anche da chi non condivide i contenuti. Ma, forse è molto più semplice mettere al bando e tacciare di fascismo tutto ciò che non è allineato.

Le criticità del libro di Vannacci

Detto questo, è tutto giusto quel che scrive Vannacci? No, ovviamente. Ad esempio, non è condivisibile l’esemplificazione di una italianità che, nell’ottica del Generale si fonda su caratteri etnici e razziali. Si tratta di una mistificazione che non tiene conto della specifica storia del nostro paese (errore piuttosto grave direi) e che nella migliore delle ipotesi si limita a sostenere l’ovvio o, nella peggiore, dà adito a pericolose strumentalizzazioni.

La Patria è di chi la Ama

La Patria è di chi la ama (e dimostra di farlo) indipendentemente dal colore della pelle o dai tratti somatici. Per questo, nel tracciare l’esempio di Paola Egonu, il Generale sbaglia a incentrarsi sui tratti somatici della famosa (e italiana!) giocatrice di pallavolo. Dimostra di essere agganciato a una nozione novecentesca di italianità che richiama alla mente pagine buie della nostra storia nazionale. Oggi, come ha giustamente sostenuto il Ministro Abodi, essere italiano significa altro e non ha nulla a che vedere con il colore della pelle. Serve implementare un sano patriottismo che nasce dall’amore per la Nazione, per la sua storia, per la sua tradizione, per tutto ciò che di buono ha portato nel mondo. Non comprenderlo o sottovalutare l’assunto è un errore madornale. E poi, a margine, sarebbe interessante conoscere la posizione di Vannacci riguardo a tutti quei figli adottivi che sono italiani nella legge e nel cuore ma hanno tratti somatici differenti perché magari provenienti da adozioni internazionali.

Multiculturalismo

Naturalmente ciò non significa sottovalutare la difficoltà di integrazione dei migranti e le criticità che la società multiculturale porta con sé.  Esistono indubbiamente anche in Italia i rischi di una ghettizzazione dei migranti (effetto banlieu) che sono più inclini a perpetuare le proprie culture e tradizioni, anche quando incompatibili con i nostri valori e con la nostra legge. Il caso di Saman Abbas lo dimostra. Così come sussiste al possibilità di rivendicazioni di autodichia di intere comunità. Ciò sarebbe del tutto illegale, beninteso, ma in Inghilterra il fenomeno esiste. Quindi occorre certamente procedere a integrazione ben consci che non è affatto semplice e per ora stiamo drammaticamente fallendo. Anche in questo caso, negare l’evidenza è suicida. Ma proprio perché si tratta di sfide importanti per la Nazione, occorre approfondirne l’analisi e non limitarsi a generici slogan. La libertà (anche quella di pensiero) comporta responsabilità (di approfondimento).

I rischi della parola “normale”

Non è altresì condivisibile l’ingenuità nell’utilizzo del termine “normale” (seppur nel modo declinato poco sopra). Si tratta di una parola intuitivamente foriera di fraintendimenti. Ciò, a maggior ragione se rivolto a persone. La diade normalità/anormalità non si addice minimamente a definire la condizione di un individuo, e il suo utilizzo determina un effetto provocatorio eccessivo rispetto al tema trattato. Che, al contrario, va sviscerato nella sua delicatezza con estremo tatto e attenzione, anche espositiva. Insomma, la semplificazione è un approccio sbagliato, uguale e contrario rispetto alle pretese che si dice di voler contrastare. E’ l’altra faccia della medaglia. Ripetesi, errore gravissimo di metodo che sacrifica anche il contenuto.

I diritti individuali sono intangibili, i riflessi sulla famiglia discutibili

Di sicuro interesse è invece la distinzione che il Generale traccia tra scelte individuali come tali da rispettare e proteggere e impatto di queste scelte nelle comunità anche più piccole come la famiglia. In altre parole l’autore si pone la domanda se sia necessario per proteggere i diritti alle proprie preferenze sessuali traslare tale tutela sul piano familiare di fatto snaturando quella struttura che da secoli ha determinato il futuro delle nazioni. Ed è sicuramente una riflessione attuale che merita approfondimento. L’autore offre una risposta negativa ed effettivamente porta sul piano argomentativo delle evidenze sostanziali. Trattasi di un tema spinoso che prevede molte variabili e che – come giustamente sottolinea Vannacci – non può essere affrontato con la banalità de “l’amore vince su tutto”. Sappiamo che non è così e interrogarsi in merito è del tutto legittimo e di sicuro non è omotransfobico (aggettivo che viene utilizzato dai progressisti con una certa faciloneria).

Il capitolo sulla tassazione

Anche in tema di sistema fiscale, l’approccio del Generale è del tutto condivisibile, contestando il “furor” delle sinistre sempre pronte a far piangere i ricchi, sovente senza calcolarne il costo sociale. Se c’è da portare una critica all’autore sul punto, è quella di non essere evidentemente un tecnico della materia. Quindi,  pur nella cornice di riferimento corretta, il pensiero risulta un po’ semplicistico e non offre quel respiro necessario di competenze per trattarlo in modo approfondito.

Ambientalismo e animalismo ideologici

Infine, l’animalismo come nuova religione mette in evidenza l’ideologia di certi soggetti che in nome di una indiscriminata tutela animale diventano caricaturali, del tutto fuori dalla realtà. Di base, tuttavia, l’assunto dell’autore prevede una massima libertà di scelta personale, senza che ciò debba tradursi in una imposizione nei confronti di chi invece è portatore di idee diverse e contrapposte.

Giusto dunque amare gli animali, ma non si può dimenticare la prevalenza dell’uomo.

Il metodo liberale

Ma il su indicato “metodo”  non vale solo per l’animalismo. Esso caratterizza tutto il testo e ne costituisce sicuramente il lato maggiormente valido. L’esaltazione della libertà di scelta individuale, nel rispetto per chi non condivide tale scelta. Il tema è assolutamente attuale. Viste anche le proporzioni numeriche dei portatori di interessi e diritti (veri o presunti), il rischio è quello di una dittatura della minoranza che, forte dei propri mezzi, peraltro notevole, rischia di imporsi su una maggioranza attualmente silenziosa. Ebbene, questa maggioranza un domani potrebbe presto polarizzarsi in senso uguale e contrario dando luogo a un intollerabile estremismo. Non v’è chi non veda il pericolo di tale esito.

In conclusione, dunque, al netto degli errori – che si è cercato di sinteticamente evidenziare – il libro di Roberto Vannacci è sicuramente stato positivo nell’ottica di un dibattito culturale fecondo e positivo, nella speranza che non venga strumentalizzato in modo del tutto superficiale da estremisti di ambo i lati.

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