Effetto Dunning Kruger e nuove ideologie

Quella strana voglia di esprimere la propria opinione senza alcun supporto, senza aver approfondito, senza essersi documentati, ma solo sulla base di estrapolazioni estemporanee di citazioni altrui, è esercizio tipico dei nostri tempi.

Dai social soprattutto proviene quella massima espressione dell’effetto Dunning Kruger che colpisce tutti, colti e stolti.

EFFETTO DUNNING KRUGER

L’effetto DK è la distrorsione legata al pregiudizio cognitivo della propria superiorità illusoria e deriva dalla incapacità delle persone nel riconoscere le proprie mancanze di competenza e capacità. Insomma, si tende a sovrastimare il proprio livello di conoscenza e ci si lancia in ardite interpretazione di fatti, fenomeni, pensieri senza alcun aggancio con la realtà.

E’ appunto un bias cognitivo che i social network hanno amplificato a dismisura concedendo a chiunque il diritto di parlare, esprimersi (sacrosanto, intendiamoci!) su temi di cui non hanno la benché minima competenza.

Sovente senza nemmeno aver letto qualcosa in merito all’argomento di cui pontificano. Ed ecco che si critica un libro senza averlo letto, ma sulla base di citazioni estrapolate dal contesto. Ma non importa ! Nell’era della semplificazione, ciò che conta è lasciare la propria traccia nel mondo (virtuale), perché il resto costa fatica. L’analisi richiede sforzo, ma mentre ci si sforza, il tema non è più attuale. Abbiamo “perso il treno”, perché intanto il dibattito si è già spostato altrove.

Come quindi lamentarsi del populismo se anche i cosiddetti antipopulisti sono avvinti nell’abbraccio mortale del metodo semplicistico?

Semplicemente non si può! E’ il progresso… bellezza!

Il libro di Vannacci come ultimo esempio

L’ultimo in ordine cronologico è il baillame che si è scatenato attorno al libro del Generale Vannucci che riempie dibattiti reali e virtuali da giorni, con una percentuale peraltro infinitesimamente bassa di coloro che hanno letto integralmente il testo.

Confesso! Non l’ho ancora finito, e non voglio esprimermi sul merito, ma non può non colpire il grado di approssimazione e superficialità  nelle analisi di tanti commentatori da social. Alla base vi è un pregiudizio (invero, da più di uno). Il primo e più importante è che al mondo interessi la loro opinione. Effetto DK.. sovrastima soggettiva!. Il secondo pregiudizio è quello che porta alla selettività dell’informazione. Si prende solo ciò che è funzionale al mantenimento della propria convinzione. E allora se il Generale – nel caso specifico – scrive qualcosa che rafforza la propria convinzione la si esalta (W il Generale!!). Se dice qualcosa che invece smentisce la convinzione, semplicemente la si ignora o la si contesta aprioristicamente (Fascista il Generale!).

La Convinzione elevata a verità

In generale, dunque, il punto nodale dunque, il vero focus su cui si incentra questa forma di bulimia comunicativa non è il tema nella sua complessità , quanto l’egocentrismo tipico di chi mette sempre e comunque al centro la propria convinzione, da intendersi quale verità assoluta non negoziabile.

Un tempo si diceva: “la mappa non è il territorio”. Oggi la mappa non è solo il territorio, ma l’intero globo e forse finanche l’universo tutto.

Una verità che non conosce l’alterità, non conosce il pensiero critico divergente, che non riconosce legittimità a chi ha una opinione diversa sul tema.

Questo è un effetto che certamente non nasce con il libro del Generale Vannacci, ma da molti anni imperversa nel dibattito pubblico attorno ai più vari argomenti.

Ed ecco che se si parla di calcio, tutti siamo allenatori, se si parla di giustizia, tutti siamo avvocati o magistrati, se si parla di politica internazionale, tutti siamo statisti e via andando. Se uno offre un parere colto dinanzi all’opinione errata ecco che “la tua opinione vale tanto quanto la mia” e via dicendo.

Quello che è sacrificato è l’umiltà di riconoscere che la propria convinzione non è verità assoluta ma una parte di verità che ha diritto di esistere tanto quanto le versioni ad essa contrapposte.

La scomparsa del pensiero critico

In ciò si fonda un dialogo che prevede una seppur minima preparazione tematica. Al di fuori di questo, siamo nel tifo, nella fede cieca nel proprio io. L’uomo misura di ogni cosa, viene sostituito da “io sono misura di ogni cosa”, e questo è quanto di più antidemocratico vi possa essere. Perchè mentre offre l’illusione della pluralità di punti di vista, in realtà genere la proliferazione di monadi autoreferenziali del tutto indifferenti al proprio grado di preparazione. Poi, i social – o più in generale la rete – rafforzano tali dispercezioni rafforzando la polarizzazione e la chiusura.

Ad Harvard esiste un corso di comunicazione – mi pare che sia retorica forense, o qualcosa del genere – in cui ci si allena a sostenere tesi contrarie alle proprie convizioni personali. E così se a uno piace il mare dovrà convincere della bellezza della montagna ecc. ecc.

Lo trovo un esercizio estremamente utile che dovrebbe essere utilizzato ovunque perché apre la mente e stimola l’assunzione del punto di vista dell’altro come strumento di crescita (non solo tecnica).

Nuove Ideologie

Invece, c’è da prendere atto con tristezza, che si va nella direzione opposta, e ciò coinvolge non solo i “quisque de populo” ma anche chi riveste delle responsabilità pubbliche, chi guida organizzazioni importanti, chi dovrebbe fare della propria leadership uno strumento di risoluzione dei problemi e non un’occasione per dimostrare la propria fedeltà da ultras.

E’ vero, sono cadute le macroideologie, quei fenomeni collettivi che massificavano il pensiero, ma il risultato è la partenogenesi di singole e individuali weltanschaung del tutto incapaci di confrontarsi con l’altro. IL predominio del “io-mio” prevale su ogni senso del comune sentire e del fecondo dibattito democratico.

E se il pensiero tiranno dell’individuo prevale sul libero e fecondo dibattito tra idee contrapposte, si declina il pensiero in senso unico e totalitario.

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