2025 Tasche piene e spiagge vuote

La Rotonda a Mare, sfondo delle serate danzanti del Summer Jamboree

2025 Tasche piene e spiagge vuote

Negli ultimi mesi molte località di mare hanno registrato un calo delle presenze che in certi casi ha toccato il trenta per cento, con le spiagge vuote durante la settimana e affollate solo nei weekend.

È un dato che non colpisce solo l’occhio ma anche il portafoglio degli operatori, perché a soffrire non sono soltanto gli incassi del noleggio lettini e ombrelloni, ma anche bar, ristoranti e servizi annessi

Le cause sono più di una, ma una spicca su tutte: i prezzi. Secondo diverse associazioni dei consumatori, in molti stabilimenti una giornata in spiaggia con due lettini e un ombrellone può costare dai quaranta agli ottanta euro, e in casi estremi le aree VIP arrivano a superare i mille e cinquecento euro.

In un contesto in cui il costo della vita è aumentato e i redditi sono fermi, questa politica tariffaria allontana inevitabilmente gran parte della clientela

E qui entra in gioco un aspetto che spesso resta sottotraccia: quanto pagano i concessionari per avere in gestione un bene pubblico come la spiaggia?

I dati ufficiali parlano chiaro: in molte zone, specialmente nelle località più rinomate, i canoni annui sono irrisori.

Ci sono esempi di stabilimenti di lusso che versano poche centinaia di euro l’anno, o casi come un lido di Viareggio che, con oltre tremila metri quadrati e attività commerciali incluse, paga poco più di cinquemila euro allo Stato.

In totale, le circa dodicimila concessioni demaniali marine portano nelle casse pubbliche intorno ai cento milioni di euro l’anno, una cifra modesta rispetto al giro d’affari complessivo del settore.

Questo squilibrio deriva in parte da una normativa datata, che aggiorna i canoni solo in base all’inflazione e non tiene conto del valore reale o del potenziale commerciale delle aree

Dal punto di vista economico, la situazione è quasi scolastica: se l’offerta non incontra la domanda, significa che il prezzo è fuori misura o il servizio non risponde alle esigenze dei clienti.

Se lo scopo della concessione era offrire un servizio accessibile, ma nella pratica le tariffe escludono una fetta consistente di utenti, allora qualcosa non funziona.

Le strade sono due: abbassare i prezzi e adeguarsi al mercato reale, assumendosi la responsabilità di aver puntato troppo in alto, oppure insistere e accettare che il pubblico scelga altre soluzioni, col rischio concreto di vedere l’attività fallire e la concessione tornare in gara.

Questa non è solo una questione di prezzi, ma di gestione di un bene comune. Se un’area pubblica viene data in uso a un privato, è giusto che lo Stato vigili affinché il servizio sia davvero fruibile e che il corrispettivo economico sia proporzionato al valore della risorsa

In caso contrario, si crea un doppio squilibrio: tariffe alte che scoraggiano i clienti e canoni bassi che privano la collettività di entrate significative.

Ripensare il sistema delle concessioni, adeguare i canoni, introdurre gare trasparenti e premiare chi sa offrire servizi equilibrati non sarebbe solo una misura economica, ma un atto di buon senso per garantire che le spiagge restino un patrimonio accessibile a tutti.

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