1919-2019: il Fascismo è ancora un problema politico

Mai come prima di oggi il dibattito pubblico è ostaggio dello spauracchio di un anacronistico “ritorno al fascismo”. Lo si sente agitare ovunque: la “minaccia fascista” sembra serpeggiare tra i tavoli e le segrete stanze del Governo, come tra schiere di onesti – spesso ignari – cittadini. Come se il sogno di un improbabile ritorno al passato fosse diventato di colpo l’aspirazione proibita di buona parte del popolo italiano, nonchè degli attuali suoi rappresentanti.

Lasciando debitamente stare la gran maggioranza degli italiani – che tutto avranno da pensare fuorchè al ritorno del Fascismo -, questa precipua situazione attuale nasce da un errore di fondo, squisitamente opportunistico. Si tratta dell’incapacità – per una certa parte politica – di affrontare il proprio calo di consensi sintonizzandosi sulle stesse onde di buona parte delle proprie schiere (ovvero di quella parte di cittadini che ha smesso di votarli). Non si riesce a capirli, pertanto si tira fuori un capro espiatorio capace di pacificare e riunire tutti, distogliendo l’attenzione dalle proprie mancanze.

Senza stare a scomodare persone e programmi, v’è un rischio profondo in questo operare comunicativo: continuare a fare appello ai valori dell’antifascismo significa agitare un fantasma. Utilizzare a sproposito un fatto storico, per altro esule da ogni contestualizzazione, ogni volta in cui le cose vanno come non vorremmo, impedisce di storicizzarlo debitamente. Ed oggi le cose vanno esattamente come una certa parte politica non vorrebbe: Salvini si rende interprete del pensiero di una buona fetta di italiani, strappando consensi a sinistra tanto quanto a destra non abbia già fatto. Per combatterlo si fa appello al fascismo, come se il fascismo fosse la “panacea” di tutte le brutture. Come se il voto alla Lega bollasse con una irreversibile macchia coloro che hanno osato infangare la memoria storica dei martiri. Qualcosa di avulso alla realtà, oltre che di offensivo per i martiri stessi.

Ma del resto lo sappiamo da tempo: la strategia dell’oblio, così com’è stata applicata in Germania, in Italia non funziona. E non funziona per pura opportunità politica.
In Italia vige la necessità costante di tener vivi fatti e periodi storici poco virtuosi. Negarli – o fregarsene sostenendo che “il punto non è quello”, come sarebbe opportuno fare – offre la spiacevole sensazione di volerli “dimenticare” e ci bolla come brutti, sporchi e cattivi. Il risultato per noi è una condanna senza appello dinanzi al tribunale del senso comune.

Che in Italia possa tornare un regime di tipo totalitario ispirato all’ideologia fascista è proibito dalla nostra Costituzione. Sarebbe assurdo pensarlo: le garanzie costituzionali operano in tal senso e l’insegnamento storico fa si che una supposta restaurazione, sarebbe in vario modo ostacolata dall’anacronismo coi tempi. Oltre che da ampi movimenti di popolo (non solo di quello italiano).

Proprio su questo filone va inquadrata la decisione del Prefetto di Prato di non vietare lo svolgersi di una manifestazione che formalmente esprime una presa di posizione inerente l’attualità e che – almeno sulla carta – non contiene appelli direttamente riconducibili alle norme in essere. Può esserci stato un volantino improprio ed anacronistico. Ciò non toglie le motivazioni alla base della manifestazione, quelle richieste con atto ufficiale sulle quali si sono espresse le istituzioni competenti.

In tutto ciò non dimentichiamoci poi che l’essenza del pensiero illuminista è contenuta nel suo appello originario: quei principi di libertà e tolleranza che hanno profondamente ispirato gli Stati contemporanei. Gli stessi valori che hanno animato la lotta ai totalitarismi del ‘900 e che sono alla base delle prescrizioni costituzionali odierne, alle quali i nostri rappresentanti sono obbligati ad attenersi.

Sarebbe estremamente semplice tollerare le idee che amiamo. In fondo tutti i totalitarismi sono nati andando ad abbattere quel principio liberale ed illuminista secondo il quale non è lecito porre limiti alla libertà altrui: libertà di pensiero, di opinione, di stampa e le proprie connesse manifestazioni.

Se oggi, nel quadro della Costituzione e delle leggi vigenti, si consentisse ad un qualsiasi potere dello Stato di limitare il diritto del popolo ad esprimersi, in futuro ci potremmo solo aspettare una triste sequela di altre limitazioni, a seconda di “come gira il vento”. E torneremmo tristemente prigionieri delle maglie del totalitarismo.

Siamo realisti: le formazioni di estrema destra in Italia hanno da sempre collezionato percentuali trascurabili. Difficilmente hanno sforato la soglia del 5%. Questo rende impensabile un rischio reale di ritorno al fascismo. Rischio che esiste nella misura in cui non si hanno altri argomenti per combattere certe politiche.

Oggi l’Italia deve fare fare i conti con la valutazione storica del Fascismo. E deve toglierlo dal dibattito politico corrente, anche per consentire agli storici di fare il proprio lavoro. Non si tratta di una questione di similitudini: non era certamente “fascista” Renzo De Felice, la cui opera accademica è ad oggi una delle più autorevoli fonti sul periodo storico in questione. Non era “fascista” neppure Pennacchi quando ammetteva che “lo Stato sociale italiano ha fatto grossi passi in avanti durante il Ventennio”. E non lo era neppure Romolo Gobbi nel suo rettificare i numeri reali delle brigate partigiane.

Non lo è neppure l’americana Ben Pastor, quando invita gli italiani a comprendere che la storia patria passa anche per Salò. Sono storici, fanno il loro mestiere. E debbono poterlo fare con serenità.

Dopotutto cosa dovremmo pensare degli Americani, di quella che non una sola volta è stata definita la democrazia più avanzata del mondo, quando consentirono la distribuzione di una pellicola come “Via col Vento”, che difendeva le ragioni del Sud schiavista, descrivendo il Nord come “bellicoso”, “oppressivo”, “violento”, “illiberale”?

Resta fulgido l’esempio del partigiano Carlo Azeglio Ciampi quando dichiarò che, nel re-incontrare un caro amico combattente nelle schiere della Repubblica Sociale Italiana, lo aveva abbracciato con amore perché il conflitto era finito.

Riflettiamoci su tutto questo. E cambiamo, laddove possibile, il nostro registro.

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